Modigliani: Marco Bocci è l’artista maledetto
Il Teatro Quirino di Roma, a cavallo tra la festa della donna e il giorno che precede la primavera, ospita lo spettacolo evento Modigliani per la regia di Angelo Longoni, che vede tra i protagonisti Marco Bocci nei panni del pittore livornese. Tutto esaurito per la prima romana tenutasi presso il teatro dedicato alla memoria di Vittorio Gassman, con il pubblico diviso tra curiosi ed addetti ai lavori. L’opera racconta la stagione della vita del pittore toscano dal suo approdo a Parigi avvenuto nel 1906, attraverso incontri , amori e tutto l’immenso universo artistico che lo condusse alla morte la notte del 24 Gennaio del 1920. L’opera si struttura su un tessuto narrativo nel quale il personaggio principale, Modigliani, ripercorre la sua vita in un lunghissimo flashback, raccontando alla sua e alla nostra coscienza le donne che hanno disegnato la tormentata vita parigina e tracciando, parallelamente, una crescita personale ed un intimo annientamento, ineluttabile ed indifendibile , dove l’impossibile e l’improbabile si fondono e si confondono, con tutto il fascino e la scorrettezza morale di cui i grandi uomini sanno macchiarsi ed inebriarsi.
Per meglio comprendere l’opera narrativa, bisogna fare una breve panoramica sul periodo storico/artistico di riferimento: siamo agli inizi del Novecento, Parigi è il centro del mondo, l’arte qui ha deposto tutte le sue illusioni e i possibili aneliti di cambiamento, di rottura con gli “impressionisti” dell’emisfero artistico e culturale dell’ Ottocento, celebrato dal trionfo edulcorato e malinconico di Monet e Manet su tutti; l’arte cerca una strada informale, un universo nuovo che racconti la sostanza oltre l’apparenza, l’invisibile più che la luce e le sue forme, il mistero oltre l’afferrabile conoscenza . Parigi è il luogo dove gli artisti più celebri si incontrano nei caffè, nelle botteghe o negli alloggi più umili ed improbabili per discorrere, interrogarsi, immaginare un percorso innovativo e possibile, oltre l’umano e comune senso della concretezza quotidiana. La grande guerra è alle porte, i bohémien francesi scoprono la percezione dell’inconscio attraverso i fumi dell’alcol , dell’assenzio e dell’hashish, paradisi artificiali per sfuggire da una realtà sempre più crepuscolare, meno percettibile e lontana dall’indomito spirito umano e dal subconscio. Modigliani è un artista livornese che sogna Parigi, dopo aver conosciuto la maestria classica di Raffaello, Michelangelo e Caravaggio durante i suoi viaggi italiani; il suo spirito inquieto e fortemente malato (pleurite e tubercolosi) lo spingono oltre i confini italiani alla ricerca della sua strada, nuova e profonda verso l’ignoto, l’oblio, l’indigenza e la leggenda. La Parigi di inizio Novecento ha tutto il fascino crepuscolare della maledizione e dell’avanguardia, gli artisti hanno già oltraggiato l’arte con colori violenti e selvaggi come quelli accesi e provocatori dei “fauves”, su tutti il genio di Matisse , o hanno provato a scomporre una banale realtà con geometrie surreali come i “cubisti” con il giovane Pablo Picasso sempre più capostipite e punto di riferimento assoluto. Modigliani giunge a Parigi come un borghese in cerca di vita, con in tasca soldi per vivere e sognare, non certo come un artista povero ed affamato come i tanti bohémien che affollano le strada di periferia tra Montparnasse e Montmartre, dal nord al sud di Parigi. L’opera di Angelo Longoni cerca di amalgamare gli elementi storici e privati attraverso quattro figure di donne che hanno segnato di fatto la vita di Modì: Kiki de Montparnasse (Giulia Carpaneto) , una prostituta bohémien, tra le sue prime conoscenze parigine; Kiki sarà la donna che lo introdurrà nel mondo dadaista e suburbano, tra gli eccessi e la frivolezza, tra le scoperte e la curiosità dell’esistenza. Lei, femmina di vita, modella e prostituta dall’animo socialista, la libertina e ribelle senza causa, donna moderna di temperamento ed ironia, icona della spregiudicatezza modaiola di inizio secolo. Anna Achmatova (Vera Dragone), poetessa russa, in visita a Parigi in compagnia del marito Nikolaj Gumilev, poeta e docente presso la Sorbonne; la sua infatuazione per il pittore sarà ingentilita da un affetto quasi materno, tenero , una spinta propulsiva che guiderà Modigliani verso un amor proprio, labile ed estremamente fragile, senza un duraturo futuro. Beatrice Hastings (Romina Mondello), giornalista per il quotidiano britannico “The New Age”, di cinque anni più vecchia di Amedeo, donna intelligente e passionale, legata al pittore da un grande amore e da una forte attrazione carnale; è lei a spingerlo ad abbandonare la scultura per dedicarsi completamente alla pittura, esercizio meno faticoso e più redditizio. Il loro rapporto, brutale e rancoroso, sprofonderà Modigliani in un baratro emotivo e fisico, che si interrompe solo alla conoscenza di quella che poi sarà la donna che lo accompagnerà fino alla fine dei suoi giorni: Jeanne Hébuterne (Claudia Potenza). È quest’ultima, Jeanne, molto più giovane di lui, ad essere il simbolo di un’iniziale rinascita, tenendolo lontano dagli eccessi e recuperando la sua stima artistica e sociale; dal loro sodalizio nascerà una bimba, negatale dai genitori di lei che intralciano il loro amore, per presunte mancanze dell’artista oltre alle sue invise origini ebraiche. Il loro amore porta Jeanne ad una seconda gravidanza, mai conclusa per le tragiche conseguenze della vita: Modigliani infatti morirà di tisi a causa della sua condotta dissipata e malsana, e dopo ventiquattro ore dalla sua morte anche Jeanne, in preda ad una estrema disperazione, si getta dal quinto piano dell’abitazione paterna, privandosi della vita con la sua piccola anima in grembo.
L’opera teatrale “Modigliani” pone l’accento su quelli che sono gli elementi fondamentali della vita dell’artista: le sue origini ebraiche raccontate con orgoglio e fierezza, ma ostacoli in una società aristocratica e borghese come quella parigina dei primi anni del Novecento; il suo grande tormento artistico, tra la scultura e la pittura, tra l’ammirazione e l’oblio, tra le mode imperanti e il suo bisogno di originalità. Modigliani, infatti, come cerca di raccontare l’opera di Longoni, era follemente decontestualizzato dal suo periodo storico che percorreva un’unica e netta strada verso la scomposizione artistica ed una selvaggia rappresentazione dei contenuti e delle tinte pittoriche; l’artista livornese cerca, continuamente, un’identità netta e personale, peculiarità dell’uomo che vuole semplicemente essere se stesso, fuori da schemi conformistici e speculativi; l’arte come espressione dell’io e del subconscio, in una continua ricerca e sete di conoscenza dell’anima e dell’essenza stessa della pittura. Questi elementi, chiariti ed esposti, hanno però poca forza drammaturgica, si perdono in racconti verbosi e spesso ridondanti, dove l’azione si piega al servizio della parola, troppo abusata e forviante. La scenografia, con un divisione tra la ribalta per raccontare gli esterni, e il fondo della camera interna per raccontare l’intimità sua e delle donne, non è completamente amalgamata e crea, soprattutto nell’ambiante interno, un distacco dallo spettatore, una nebbia visiva inizialmente piacevole e simbolica ma alla lunga innaturale e poco consona alla tridimensionalità teatrale. Belle le immagini che sul telo proiettano le opere dell’autore parallelamente al periodo storico del racconto. La scelta dell’autore di esprimere il pittore attraverso personaggi femminili è solo in parte condivisa, vista la varietà dei rapporti di amicizia (Maurice Utrillo su tutti) o la forza e la disperazione dei suoi scontri professionali (Pablo Picasso su tutti); la mancanza di queste ed altre figure maschili, che vengono solo raccontate in scena, indebolisce il racconto, che procede su binari manieristi e poco emotivi. Ottima la prova di Marco Bocci, mattatore per tutta la durata dello spettacolo, anche se troppo carico di significati nelle movenze, a tratti strabordante per nascondere qualche debolezza narrativa; non altrettanto valida la prova delle donne che si contendono la scena, che mai raggiungono picchi drammatici interessanti; su tutte Romina Mondello, nei panni di Beatrice Hastings, risulta essere più credibile e passionale, aiutata da un personaggio più complesso e riuscito; ottima la scelta delle musiche del maestro Ryuichi Sakamoto sulle cui note si articola l’intero impianto narrativo. Un’opera ad ogni modo coraggiosa ed interessante, tutta da vedere nel periodo che va dall’8 al 20 Marzo presso il Teatro Quirino di Roma: a partire dalla festa delle donne tanto care al pittore livornese, per giungere ad un sol passo dalla primavera, quella stessa mai realmente assaporata dall’artista malinconico e maledetto, il maudit, detto Modì.
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