Lo straziante urlo del silenzio: la Settimana Rossa racconta il Femminicidio
Un urlo irrompe chiassoso nel ridondante silenzio della notte: è un urlo amaro, soffocato, reciso. Un urlo che viene dappertutto e da nessuna parte.
E’ l’urlo di tutte “le donne morte ammazzate” che per la prima volta prende corpo grazie alla raffinatissima penna di Betta Cianchini nella Settimana Rossa dedicata al Femminicidio (ogni malattia ha diritto alla sua maiuscola). E mentre il buio copre la capitale romana, nel teatro Lo Spazio sale sul palco la notte con tutte le sue ansie e le sue paure e si ferma smarrita vibrando tra le corde vocali di Sonia Barbadoro, che racconta l’incubo di una madre e delle sue ultime riflessioni prima di essere strappata alla vita dall’amore che ha portato in grembo e che per anni ha accudito.
Con sconcertante spregiudicatezza vengono descritti gli intimi pensieri di una donna che va incontro alla morte senza saperlo: è un flusso che sconvolge le membra e delicatamente tocca l’anima. Un’ironia tagliente che toglie il fiato si sviluppa in un unico monologo che si disperde nella sala senza trovare un punto preciso in cui fermarsi, mentre l’attenzione del pubblico è richiamata sul palco dalla presenza di un assassino indifferente che accarezza falsamente la tomba della sua vittima su cui ha deposto un fascio di crisantemi (che lei in vita ha sempre detestato).
La scenografia è semplice e allo stesso tempo ricercata e le luci seguono come ombre lo straziante dolore che da voce anche al secondo monologo: Laura Mazzi si racconta in modo drammaticamente buffo attraverso la sua incapacità nel fare la valigia. Una valigia che avrebbe dovuto contenere i suoi sogni e le sue speranze e che alla fine diventerà la sua bara, lasciata cadere sul fondo di un lago. Lo sconforto di questi puzzle di storie (per rispettare le vittime nessun racconto è riconducibile direttamente ad un fatto di cronaca ma sono storie che si fondono insieme) non stimola alcun genere di riflessione se non il tormentoso sconcerto di fronte all’impotenza di donne-qualunque, che si trovano private della loro forza e trascinate al loro destino dall’indifferenza delle persone che le circondano. Cala il sipario, scrosciano gli applausi e mentre lentamente ogni tassello del pubblico ritorna alla propria vita, mentre la mente abbandona il teatro e ritorna alle ansie incombenti della quotidianità, all’uscita l’attenzione viene richiamata da due pacchetti targati PAM in cui la carne macellata porta il nome delle vittime che non hanno più niente a cui tornare, non hanno più voce da dare ai loro pensieri, non hanno più niente se non l’impotenza di essere solo, lontanamente, ricordate.