Weekend, così Andrew Haigh sfida i pregiudizi
Il nome di Andrew Haigh probabilmente dirà poco o niente ai più, nonostante questo semi-sconosciuto regista britannico abbia avuto modo di farsi positivamente notare negli ultimi mesi. Nel nostro Paese ha esordito recentemente con l’acclamato 45 anni, valso a Charlotte Rampling una candidatura agli ultimi Oscar come miglior attrice protagonista. Arriva il prossimo 10 marzo in sala, invece, Weekend, che di Haigh è stata l’opera prima, uscita nel 2011 e accolta con favore nei festival di tutto il mondo. Miglior regista rivelazione e miglior sceneggiatura sono solo alcuni dei riconoscimenti che il regista ha ottenuto grazie a Weekend. Come in 45 anni, anche qui tutto ruota intorno a una coppia: Glen e Russell si conoscono una sera in un locale gay, passano la notte insieme e nell’arco di un solo fine settimana arrivano a conoscersi e condividere paure, sentimenti, ricordi. Una storia estremamente semplice, che conferma come al regista inglese interessi indagare il quotidiano, l’ordinario; un po’ per motivi di budget ristretto, ma anche per una straordinaria predisposizione all’osservazione minuziosa e dettagliata dei sentimenti umani.
Weekend dimostra anche un’intelligente originalità nei temi trattati: gli ultimi anni sono stati quelli in cui il cinema ha proposto sempre più storie di amori gay; da La vita di Adele ai più recenti Freheeld e Carol, passando per il nostrano Io e lei. Tuttavia la differenza tra i protagonisti raccontati da Andrew Haigh e le produzioni hollywoodiane (e non) non potrebbe essere più netta; queste ultime solitamente si concentrano sul tema dei diritti negati, su amori tenuti nascosti o sul momento del coming out, in una spettacolarizzazione della “diversità” che è totalmente assente in Weekend. Il film di Andrew Haigh non assomiglia a nessun’altra pellicola finora uscita in sala che tratti il tema LGBT. E se La vita di Adele ha sdoganato il sesso lesbo al cinema, Weekend sembra piuttosto suggerire come quello tra due uomini, e l’omosessualità in generale, sia ancora un tabù incrollabile, nonostante l’ormai diffuso riconoscimento legale. Stilisticamente, il film vuole avvicinare lo spettatore alla storia in tutti i modi possibili: prevalgono primi piani e inquadrature estremamente ravvicinate ai volti dei protagonisti. Haigh fa ampio uso di camera a mano e sceglie un approccio documentaristico, tanto che ci si sente inseriti nella scena, quasi come se ci si trovasse nella stessa stanza con Glenn e Russell.
Tuttavia, Weekend riesce a trascendere il tema LGBT per raccontare la storia intima e toccante di due persone che si innamorano. Non manca comunque una riflessione sul tema dei diritti, ma nel momento storico in cui più se ne sta discutendo, nel mondo politico e non, Haigh pone l’accento sulla quotidianità di una coppia, raccontandoci come l’omosessualità venga vissuta nel privato da due persone normali, che si incontrano e si innamorano per caso proprio come succede a chiunque. Nella sua semplicità insomma, il film di Haigh è quasi rivoluzionario, perché “normalizza” l’amore tra persone dello stesso sesso rinunciando a quell’aura di clamore che solitamente accompagna storie di questo tipo al cinema. Non manca comunque di far notare la polarizzazione tra due mondi ancora distanti attraverso l’ipocrisia eterosessuale, disposta ad accettare un’unione gay a patto che questa non si manifesti esplicitamente in pubblico. Tutto questo rende Weekend un film estremamente autentico e vicino alla realtà. La pellicola si regge interamente sulla sceneggiatura e sulle ottime interpretazioni, potendo evidentemente contare su poco altro, viste le ristrettezze economiche. Soprattutto, si regge sullo sguardo intuitivo e misurato di Haigh, che riesce davvero a restituire un ritratto toccante dell’intimità nascente tra i protagonisti, scavando a fondo nei loro sentimenti. Come opera indipendente Weekend rimarrà probabilmente lontano dal pubblico di massa, ma certamente non ha mancato di far emergere il nome e il talento di Andrew Haigh.
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