La guerra di Silvio
Dopo la rottura di Berlusconi e le conseguenti dimissioni dei Ministri PdL, oggi Letta si confronterà col Parlamento ufficializzando il secondo fallimento consecutivo di un Governo frutto della strategia Napolitano. Mediti a fondo il Presidente sull’efficacia, oltre all’opportunità, di interpretare in senso così estensivo le proprie prerogative più strettamente politiche.
Soltanto cinque mesi fa Letta giurava in Parlamento proponendo un Governo senza data di scadenza e con un programma minimo di 18 mesi, un’anatra con due gambe zoppe e in continua fibrillazione. Soltanto cinque giorni fa Letta magnificava agli americani le sorti progressive della ritrovata stabilità politica italiana. Per ben due volte la strategia Napolitano ha sacrificato tutto alla stabilità e al recupero condiscendente della credibilità internazionale, senza ottenere nell’una nell’altra al prezzo, altissimo, di imbalsamare un paese avvitato nella spirale recessiva.
Il PD ha barcollato a lungo eppure alla fine si è schiantato il PdL, in cui le contraddizioni soffocate dall’abbraccio dell’imperatore emergono violente quando a lui, chiuso in un angolo, cedono i nervi. Vincono i falchi ma perdono tutti, mentre Berlusconi cerca disperatamente di sparigliare ancora una volta le carte, attaccando su tutti i fronti. La buffonata dell’IVA dura meno di ventiquattro ore, poi lui stesso inizia a parlare esplicitamente dell’inaffidabilità di Letta e Napolitano, rei di non averlo protetto dai giudici. Delira in un audio rocambolescamente captato da un giornalista, di complotti quirinalizi per fargli pagare più soldi a De Benedetti. Alfano dice no, impara una parola nuova, e accusa i media Berlusconiani di applicargli contro il metodo Boffo, quello che fino a ieri tornava comodo contro magistrati e avversari politici. Cicchitto e Sallusti litigano in diretta dandosi rispettivamente dello stalinista picchiatore e del traditore nemico di Berlusconi. Giovanardi sbandiera quaranta parlamentari al Senato già fuori da Forza Italia e pronti sostenere il Governo.
Il crollo del PdL racconta magistralmente la parabola cui sono destinati i partiti personali, quando al rovesciarsi della fortuna del proprio leader-padrone-fondatore, semplicemente implodono. Era successo anche all’Italia dei Valori quando Report aveva svelato la gestione opaca e familistica che Di Pietro tendeva a fare del partito. Un partito personale è tale perché non sa produrre una nuova classe dirigente , dunque autonoma e responsabilizzata, e tantomeno una successione alla leadership che, per sua natura, sia in grado di mettere in discussione i vertici. Un giorno, probabilmente lontano, anchel’M5S dovrà fare i conti con questa legge della politica. E’ proprio la struttura tradizionale l’unica ragione per cui il PD galleggia, malgrado non siano mancati disastri e tentativi di suicidio collettivo. La democrazia interna, come quella tout court, contrappone a un deficit di decisionismo una maggiore elasticità e capacità di adattamento.
Oggi Letta andrà di fronte al Parlamento a cercare il voto dei senatori PdL ma non dei grillini dissidenti, nel tentativo estremo di perpetuare se stesso e la strategia Napolitano in un orizzonte almeno di medio termine. Le istituzioni chiuse in se stesse sperimentano una nuova fase di caos, fuori dalla porta attendono in trepidante attesa Fitch, la disoccupazione giovanile al 40%, la recessione cronica, lo spread e l’ombra funebre della Troika.
di Daniele Trovato