Brexit: convenienze e ipocrisie di una GB fuori dall’Europa
Brexit si, Brexit no, Brexit non lo so. La faglia tra Gran Bretagna e Unione Europea, la spaccatura che da anni divide il Partito Conservatore sta per consumarsi e come prevedibile divide a metà l’opinione pubblica inglese e suscita non pochi malumori nel Continente.
La decisione di anticipare la data del Referendum dal 2017 al 23 giugno del 2016, presa per tenere a bada i timori e le speculazioni a proposito del Brexit, ha scatenato un grande dibattito. In Inghilterra l’opinione pubblica è divisa a metà, il Partito Conservatore e i Labouristi sono a favore della UE, ma le pressioni degli euroscettici sono piuttosto consistenti. Il mondo della finanza e dell’economia è abbastanza favorevole alla permanenza nell’Europa (e nel suo mercato), anche se molti hanno preferito non esprimersi, e la maggior parte degli analisti non nasconde le pericolose incognite legate al Brexit A differenza del Grexit – di cui tanto si è parlato in occasione del Referendum di Luglio promosso da Syriza e Alexis Tsipras – che prevedeva diversi scenari (uscita dall’euro ma permanenza nel’UE, moneta alternativa, uscita da Euro e UE), il Brexit è sostanzialmente l’espressione con la quale viene indicata la possibile uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea. Le ragioni ataviche sono vecchie di decenni, o forse di centinaia di anni, da quando insomma Inglesi e Francesi si misuravano a fil di lama per il controllo del continente, dei mari e delle finanze. Nella terra di Sua Maestà la fratellanza stretta con i vicini e i lontani d’oltremare è sempre stata mal digerita; eppure non si è mai mancata occasione per influenzare, determinare o intromettersi nella vita e negli affari del continente. Un po’ antipatici gli inglesi da questo punto di vista, bisogna ammetterlo. Come chi vuole starsene tranquillo in casa propria ma con il diritto garantito di andare a disturbare nelle case altrui.
Umanamente – empaticamente, “a pelle” – il Brexit sarebbe un toccasana. Soprattutto per le dichiarazioni che circolano a favore della permanenza della Gran Bretagna nella UE, e che possono essere tradotte con l’espressione “vogliamo i vantaggi di farci gli affari nostri e il vantaggio di essere coinvolti negli affari vostri”. Non troppo dissimile dal comunicato con il quale Downing Street ha risposto al tuffo del sindaco di Londra, Boris Johnson, nel campo dei NO-UE: «Il nostro messaggio per tutti è che vogliamo che la Gb abbia il meglio di entrambi i mondi: tutti i vantaggi dell’occupazione e degli investimenti che ci vengono dallo stare nell’Ue senza gli svantaggi di essere nell’Euro e dei confini aperti». Capre e cavoli insomma.
Politicamente invece la situazione potrebbe essere disastrosa. Anche se c’è dello scetticismo su quanto effettivamente possa continuare a piovere sul bagnato fradicio in cui versa l’Unione Europea, l’uscita della Gran Bretagna potrebbe dare il LA a un concerto di distinguo in cui tutti tornano a fare i solisti, secondo le loro prerogative, e il coro finisce in caciara. Ma a dirla tutta non si capisce se sarebbero più catastrofiche – per le i grandi disegni politici e non i traffici da corridoio – le conseguenze di un’uscita o di una permanenza a condizioni onestamente impresentabili e assolutamente diseguali. E’ possibile derogare a un trattamento speciale che gli stessi britannici si sono disegnati addosso mentre solo otto mesi fa è stata sacrificata la Grecia sull’altare del rispetto dei patti e delle regole?
Perché David Cameron sta giocando a poker, ha in mano una scala – non reale per carità, e pretende di ridiscutere le regole al fine di battere un bel colore di cuori. Le richieste da parte inglese riguardano l’impegno dell’Unione a favore di una maggiore competitività (cioè riduzione delle regolamentazioni per le imprese e completamento del mercato unico, in particolare per quanto riguarda la libera circolazione dei capitali), affiancato però dal riconoscimento di una diversa “governance” tra eurozona e paesi non euro e dalla sospensione della libera circolazione delle persone – non per quanto riguarda Schengen, che la GB ne è già fuori ma rispetto alla stessa immigrazione comunitaria, imponendo un periodo di almeno 4 anni di residenza prima di poter accedere al welfare. E ’ proprio per corroborare quest’ultimo punto che abbiamo assistito alla boutade più imbarazzante: si chiede che venga soppressa dal Preambolo dei Trattati la frase che recita che lo scopo della costruzione europea è di “creare un’unione sempre più stretta tra i popoli d’Europa”. Principio che contraddice le fondamenta stesse del progetto europeo, basato sulla libera circolazione.
Se l’adesione all’Europa da parte Inglese deve continuare a essere una questione di sola convenienza economica, che non solo non prevede alcuna partecipazione a dei seri e più grandi progetti di integrazione, ma mette in funzione meccanismi e precedenti perversi affinché questo processo rallenti, come storicamente la Gran Bretagna ha sempre fatto, allora davvero, arrivederci.
Ma soprattutto, ancora una volta dobbiamo chiederci se è questa l’Europa che vogliamo.
Approfondimenti:
Al di là dell’ironia si consigliano questi articoli del Sole24Ore e del Il Manifesto per approfondire l’argomento: Sole1 Sole2 Sole3 Manifesto1 Manifesto2