Fecondazione assistita: burocrazia tutta italiana

Il quadro che emerge dal Rapporto 2015 dell’Osservatorio civico sul federalismo in sanità, curato da Cittadinanzattiva-Tribunale per i diritti del malato (Tdm) e presentato oggi, sulla situazione della procreazione medicalmente assistita in Italia è disastroso. Il Rapporto rivela che i 2/3 dei centri sono concentrati solo in 5 regioni: Lombardia, Lazio, Campania, Sicilia e Veneto. Rivela anche un grande squilibrio fra centri pubblici, privati convenzionati e centri privati. Un vero e proprio caos che attanaglia la situazione clinica per la fecondazione assistita, una giungla di norme e regolamenti che variano per altro da regione a regione e che mandano in confusione le coppie che vogliono avere un bambino.

L’Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia, Piemonte e province autonome di Trento e Bolzano, si confermano le migliori, inserendo la Pma nei Livelli essenziali di assistenza (Lea) regionali, sia per l’omologa che l’eterologa, escluso il Trentino Alto Adige per l’eterologa. Inoltre l’Emilia-Romagna assieme a Trento e Bolzano, Friuli, Toscana, Umbria e Basilicata riconosce un sostegno economico alle coppie che ricorrono alla Pma. Anche riguardo all’età delle coppie le regioni applicano criteri diversi, infatti Lombardia, Abruzzo e Campania non pongono alcun limite, mentre in Veneto la Pma è consentita fino ai 50 anni, in Valle d’Aosta e Umbria, invece, fino a 41 anni.

Cittadinanzattiva sottolinea che: «La regolamentazione diversa per ogni regione e la differenza di offerta ha creato enormi difficoltà per le coppie, che non hanno alcuna certezza su dove potersi rivolgere e quali costi sostenere. Ciò concentra l’offerta in alcune regioni a discapito di altre, creando una forte disomogeneità di accesso e una discriminazione di fatto delle coppie che risiedono in regioni dove l’offerta pubblica è scarsa o addirittura nulla come in Molise». Inoltre, evidenzia il Rapporto, vi sono inoltre regioni come la Sicilia che «non si attuano le delibere predisposte da anni e altre dove i centri Pma risultano ancora non autorizzati pur operando, come nel Lazio, che risulta al primo posto per disomogeneità di regole e accesso nello stesso territorio regionale».

 

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