Un Sacro Gra da Leone d’oro

Vince il doc di Gianfranco Rosi al Festival di Venezia 2013. Un film che racconta la vita lungo il Grande Raccordo Anulare. “Apri questo cerchio e fallo diventare una cosa infinita”: disse Renato Nicolini a Gianfranco Rosi. E lui questo cerchio l’ha talmente aperto da vincere il Leone d’oro al Festival di Venezia.

Così il Gra, quell’anello che circonda e unisce Roma con i suoi 68,2 chilometri, la più estesa autostrada urbana d’Italia, entra a far parte della storia del cinema e riporta il Leone d’oro in Italia dopo quindicianni di attesa con un voto all’unanimità della Giuria presieduta da Bernardo Bertolucci. Il viaggio di Gianfranco Rosi parte dalla visione di Renato Nicolini e del suo saggio Una macchina celibe e dall’idea del paesaggista-urbanista Nicolò Bassetti di percorrere a piedi i luoghi del Raccordo (300 chilometri a piedi in venti giorni) con l’obiettivo di creare una mappatura di storie e personaggi di questo luogo inesplorato. Dal palmologo che passa la vita a curare le palme attaccate dal punteruolo rosso all’anguillaro che vive sulle sponde del Tevere, dal principe che vive in un castello a Boccea al travestito che lavora in una roulotte, dal barelliere in servizio sull’autombulanza al nobile piemontese che vive con la figlia in un piccolo appartamento con affaccio sul Gra. Il regista porta sul grande schermo un’umanità eterogenea che definisce il paesaggio urbano. {ads1} Un Gra, progettato dall’ingegnere Eugenio Gra, che nasconde le contraddizioni della città e “non supporta alcuna struttura. Esso esiste solo in funzione delle sue entrate e delle sue uscite” (Renato Nicolini), muragliando la Città Eterna. Nell’esplorazione di questo luogo alla ricerca del Sacro Graal del Raccordo Rosi si perde (ben due anni di riprese) a seguire le storie e i personaggi che vivono ai bordi di Roma (così distante dalla Roma di Via Veneto di Fellini) e ci mostra scorci di un’umanità inedita che non recita, ma interpreta se stessa. Tra i rumori delle macchine che sfrecciano e le sirene delle ambulanze Sacro Gra mostra un’altra Roma, lontana dalle fontane e dai cupoloni (anche se da lì si vede San Pietro, così dice il nobile piemontese), una Roma sconosciuta agli stessi romani che corrono lungo il Gra per tornare a casa guardando soltanto il numero dell’uscita. Qui si esce, ma si esce sull’immaginario di Tanti futuri possibili. 

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