Siria: truppe turche al confine, la vigilia dell’invasione?
A oltre quattro mesi dall’inizio dell’intervento aereo russo le sorti della guerra civile siriana stanno cambiando: le truppe lealiste, ridotte allo stremo appena un anno fa, oggi riconquistano terreno col supporto dei militari iraniani e dei miliziani di Hezbollah. Aleppo, seconda città della Siria per importanza e prima per popolazione ante-guerra, è quasi riconquistata, 20km più a nord Zhara è tornata in mano al governo, in gennaio erano state liberate Rubayah e Sama e con esse la quasi totalità della provincia di Latakia. Arretra l’ELS, arretra Al-Nusra (Al-Quaeda in Siria), arretra lo Stato Islamico con tale rapidità da vedere minacciata in tempi brevi Raqqa, vera roccaforte siriana di Daesh e oggi sulla strada dell’esercito governativo.
I ribelli anti-Assad, “moderati” e jihadisti loro alleati e l’ISIS stanno perdendo la guerra, il fronte sciita supportato dalla Russia la sta rapidamente vincendo e i curdi, concentrati nel difendersi a nord dalla Turchia e a Sud da Daesh, accarezzano ancora una volta la prospettiva di poter trattare la propria autonomia ad un futuro tavolo politico. Tutto, è bene ricordarlo, in un quadro di piena legalità rispetto al diritto internazionale, visto che l’intera coalizione è in Siria col permesso del governo legittimo, tutt’ora detentore del seggio all’ONU.
La Turchia ha visto prima chiudere l’accesso ai cieli siriani ai propri caccia in seguito del dispiegamento dei sofisticati sistemi anti-aerei russi s-400, e ora rischia di veder chiudere la frontiera siriana, dove da anni transitano armi e jihadisti in una direzione e il petrolio dello Stato Islamico nell’altra. Sul fronte interno Erdogan porta avanti la feroce repressione della minoranza curda, mentre in Siria la nascita di un kurdistan embrionale (ipotesi da sempre osteggiata da Ankara) sembra oggi più probabile. I Sauditi, impegnati in Yemen in una guerra silenziata, feroce, costosa e che sono ancora lontani dal vincere, vedono l’estremismo sunnita da essi finanziato in mesopotamia rischiare la disfatta. Questo stato di cose e non altro ha generato l’attuale pericolosa risposta del fronte turco-saudita.
Sabato 13 febbraio fonti militari turche hanno rilasciato dichiarazioni in merito ad una imminente escalation del conflitto, mentre il governo di Ankara dispiegava sul confine curdo-siriano la Seconda armata dell’esercito turco, dove stazionano attualmente brigate di corazzati, fanterie e fanterie meccanizzate lungo un saliente di oltre 500km. L’ “imminente escalation” si è materializzata con l’inizio dei tiri di artiglieria oltre il confine siriano verso le posizioni curde, a oriente da Nusaibyn, dove gli scavatori turchi solcano trincee, e a nord-ovest a Dayr Jamal, 30km a sud del confine, vicino alla città di Azaz. Fonti governative siriane hanno anche denunciato colpi di artiglieria contro le postazioni dell’esercito, ancora non confermate. L’uso di artiglieria sembra preludere all’invasione della seconda armata, mentre contestualmente i Sauditi hanno dispiegato i propri caccia nelle basi della Turchia meridionale. I sauditi hanno anche annunciato la disponibilità a un’azione di terra in Siria, col generico proposito di “combattere il terrorismo”. I comandi militari sauditi stanno inoltre organizzando una serie di esercitazioni congiunte su vasta scala, che coinvolgerebbero altri 20 Paesi dell’area araba e islamica e, visto il contesto, potrebbero preludere a un intervento di terra da sud. I russi hanno più volte ribadito che non permetteranno violazioni del territorio siriano ad opera di altri Stati e allo stesso modo il governo iraniano ha dichiarato ieri che, se un’invasione vi sarà, non esiteranno a contrastarla impiegando direttamente le proprie truppe sul terreno.
Lo sconfinamento della Turchia, membro NATO e in possesso di uno dei dieci eserciti più potenti al mondo, avrebbe l’effetto detonante di scatenare una guerra regionale su scala mai vista in tempi recenti, primo e principale teatro della nuova Guerra Fredda o, potenzialmente, casus belli per qualcosa di enormemente più pericoloso su scala globale. In virtù dell’appartenenza alla NATO la Turchia è tutelata dall’art.5, che obbliga le altre potenze euro-atlantiche ad assisterla in caso di aggressione esterna. Disinnescare questa possibilità in virtù dello status di Paese invasore per la Turchia potrebbe essere il punto nodale per il contenimento del conflitto. Mai come in questo contesto i colloqui di Monaco e le telefonate tra Putin e Obama, alle quali grande risalto hanno dato i media mainstream, rappresentano poco più di gioco controllato di dichiarazioni formali e cerimoniali diplomatici, un po’ come accadde per gli accordi di Minks I & II per l’Ucraina, mai implementati e attualmente garanti di una fragilissima tregua, frutto più della sconfitta sul campo di Kiev che di qualsivoglia volontà di pacificazione. Ben al di là dello specchietto per le allodole della guerra all’ISIS, per comprendere come si svilupperanno gli eventi occorre innanzitutto guardare all’evoluzione del quadro militare siriano dove l’escalation, per quanto ci si augura possa ancora essere arrestata, sembra di fatto già iniziata.
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