Io non mi arrendo: Beppe Fiorello e la lotta di Roberto Mancini
Io non mi arrendo è una miniserie prodotta da Picomedia e Rai Fiction e andrà in onda il 15 e il 16 febbraio su Rai 1. Due puntate dirette da Enzo Monteleone, tratte dalla storia vera di Roberto Mancini, il poliziotto che per primo iniziò a indagare sul male che colpisce la Terra dei fuochi, interpretato dall’attore Beppe Fiorello. Proprio Beppe Fiorello ha promosso la miniserie sabato 13 febbraio, durante l’ultima puntata del 66esimo Festival di Sanremo.
L’espediente è stato la canzone Nel blu dipinto di blu, uno dei brani più famosi di tutti i tempi. Questa canzone, datata 1958, era interpretata da Domenico Modugno, la cui terra natale era la Puglia, quella Puglia in cui, negli anni Sessanta, l’Ilva divenne uno dei maggiori gruppi dell’industria di Stato. E’ a questo punto che si chiarisce il collegamento con il tema che è alla base di Io non mi arrendo: la terra malata. La Puglia come il “triangolo della morte” (Acerra, Nola e Marigliano), la Terra dei fuochi: quella zona della Campania colpita dal ciclo illegale dei rifiuti tossici che venivano gettati sul territorio, da quelle discariche abusive, dai traffici di criminalità organizzata, traffici su cui indagò e che furono portati a galla per la prima volta da Mancini negli anni ’90. La conseguenza di questo mercato illecito fu letale: le probabilità di ammalarsi di tumore furono alte, così come la facilità di morire. Una delle vittime del male fu proprio lui, Mancini.
Così, partendo dal ricordo del boom economico che investì l’Italia, la voce di Beppe Fiorello avvolge l’Ariston in un monologo commovente: “Gli italiani da quel giorno cominciano a comprare qualsiasi cosa, la lavatrice, la lavastoviglie, la televisione, il frigorifero, la lambretta, la vespa; e quindi in questo paese c’è sempre più bisogno di acciaio e allora qui bisogna costruire un grande polo siderurgico. Dicono le menti pensanti. ‘Si ma dove lo costruiamo, scusi?’, ‘Bé lo costruiamo su al nord, non so, qui in Liguria, a Piombino, insomma da qualche parte dove esistono già le grandi fabbriche del nostro paese’. Ma tutte le forze politiche dell’epoca, tutte, decidono che il più grande polo siderurgico d’Europa deve nascere al sud. A Taranto, nella tua Puglia, Mimmo, e dovrà dare lavoro a tutte quelle migliaia di persone che altrimenti sarebbero pronte lì, con le valigie in mano per partire e andare via lontano dal loro paese. In Germania, in Argentina (dove forse ci stanno guardando), in Brasile, in Australia a Milano, a Tornino. La prima pietra del polo siderurgico viene posata il 9 luglio del 1960. Si comincia con 2 milioni e mezzo di tonnellate di acciaio grezzo e diventa subito la più grande industria di stato. Negli anni ’80 dà lavoro a 43 mila persone e il quartiere Tamburi di Taranto si allarga per ospitare tutti gli operai. Nel 2005 sono circa 200 le aziende dell’indotto del siderurgico e fatturano 310 milioni di euro l’anno. Nel frattempo però la gente si ammala, muore, è costretta a scappare e dire addio alla propria terra”. Ed è proprio sulle note di Amara terra mia di Modugno che il monologo si conclude, in modo straziante, poiché la terra era ed è amara.
Ambientata nella Campania degli anni ’90, Io non mi arrendo segue le attività del vice commissario Marco Giordano (la scelta di non usare il vero nome del poliziotto è dovuta al fatto che alcuni dettagli della sua vicenda sono stati cambiati), giunto in quella terra in seguito a un’indagine per usura. Scopre un’inspiegabile compravendita di terreni da parte di un avvocato di provincia, Gaetano Russo (Massimo Popolizio). Insospettito, decide di vederci chiaro e, grazie anche all’aiuto di un ragazzino coraggioso che conosceva bene quel posto, Vincenzino, scopre l’amara verità: i terreni acquistati servono da discariche per i rifiuti tossici, nei pressi dei centri abitati. Ma come fare per incastrare un uomo così protetto su tutti i fronti e con relazioni anche dentro la magistratura? La sua lotta per la verità e incastrare Russo durerà circa vent’anni. Tra le indagini, trova anche l’amore: Maria (nome dietro cui si nasconde la vera identità della moglie Monika Dobrowolska, nella fiction interpretata dall’attrice Elena Tchepeleva) una ragazza dell’Est da cui avrà una figlia, Martina. Ma quei rifiuti ormai stanno divorando le persone, lentamente, spegnendosi nella malattia di un tumore. I rifiuti nascosti nel sottosuolo non si vedono, così come non si vede ciò che possono causare in superficie. Ma soltanto in un primo momento. Occultandoli, il problema viene mascherato. Ma celare la verità è condannare la gente a morte. Che poi emerge e riemerge dal suolo e va a posarsi lì, sulla nostra pelle, dentro il nostro corpo, contaminandoci. E allora i mali, un tempo non visibili, si mostrano all’improvviso nella loro brutalità e senza lasciare via di scampo. La terra, dispensatrice di vita, ora ci consuma, divenendo causa di morte.
“Se qualcuno avesse preso in considerazione la mia indagine forse non ci sarebbe stata Gomorra”, affermava Mancini. Lui Gomorra l’aveva identificata in tempi non sospetti ma nessuno volle ascoltarlo. Nel 2002 gli fu diagnosticato un tumore al sistema linfatico, conseguenza dei tanti sopralluoghi in discariche di rifiuti tossici e radioattivi. Dalla Camera dei Deputati vi fu un derisorio risarcimento di 5 mila euro. Dalle barricate degli anni ’70 al collettivo studentesco; dagli anni di piombo al tesserino da poliziotto fino alla Terra dei fuochi: ma sempre con Il Manifesto sotto il braccio. E’ questa l’immagine di Roberto Mancini nel libro Io, morto per dovere scritto dai giornalisti Luca Ferrari e Nello Trocchia, con la prefazione di Beppe Fiorello e postfazione della moglie Monika Dobrowolska Mancini. La sua è stata sempre una lotta continua, e la lotta deve proseguire per continuare quanto Roberto Mancini ha iniziato, perché la guerra continua: gli operai che scendono in strada con tute dichiarate dall’azienda (Ilva) cancerogene sono storie di oggi. Roberto Mancini è uno di quei nomi che non conosciamo, una di quelle persone che restano nell’ombra perché non ascoltiamo. E lavorano per noi, mentre siamo presi da altro. Dobbiamo molto a lui, e questa iniziativa della Rai farà in modo che la sua storia e il suo merito vengano riconosciuti.
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