Falchi, colombe e tordi: l’epopea del videomessaggio
In principio era il videomessaggio, pronto e già registrato, annunciato da squilli di trombe come un evento di portata storica, atteso dalla nazione ansiosa di specchiarsi nel vecchio leader. Il videomessaggio, almeno nelle intenzioni, annunciava tempesta, rotture, crisi di governo, elezioni imminenti e piaghe bibliche, punto di svolta e di sutura sulla ferita della condanna per frode fiscale prima, poi del voto di decadenza alla giunta del Senato.
In seguito, così almeno si è a lungo vociferato, i videomessaggi sono diventati due, moltiplicati per mitosi, partenogenesi o frutto legittimo di sante nozze poco importa: di nuovo entrambi pronti, registrati, sul punto di essere divulgati a reti unificate. Tutti e due? No, poiché i due videomessaggi, gemelli diversi, eterozigoti, presumibilmente si contraddicono: l’uno conciliante e responsabile, in una parola filogovernativo, in caso di voto favorevole della giunta medesima, l’altro furente e guerresco in caso di decadenza. Il voto slitta grazie alle manfrine del relatore Augello e con esso la data del discorso alla nazione, che nel frattempo si riunifica, torna monade o, più semplicemente, uno dei due video-gemelli (quale?) viene scartato, precipitato giù dalla rupe Tarpea.
Nel frattempo sui cieli azzurri del moribondo PdL non ancora Forza Italia, si rincorrono stormi di falchi e colombe, si tessono trame, si individuano traditori e poi se ne nega l’esistenza. Nei giorni pari i falchi prevalgono col cavaliere, stufo delle persecuzioni giudiziarie ai suoi danni e della doppiezza politica del PD, schierato dalla loro parte. Nei dispari le colombe s’impongono e con esse vincono ragione e temperanza: il leader sta dalla loro parte, un grande statista è innanzitutto responsabile e comprende meglio di chiunque le necessità della nazione e l’esigenza di stabilità. La domenica, infine, anche il cavaliere e il suo teatrino a forma di voliera, in genere riposano.
La verità è che per Berlusconi non c’è speranza, soltanto momentanee scappatoie. Se non la legge Severino, interverrà la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici, su cui non può intervenire neppure la grazia Presidenziale, in grado di annullare o commutare una pena (facendo pagare tra l’altro un prezzo più che salato al capo dello Stato), ma non potrà essere reiterata per gli altri processi che andranno a sentenza nei prossimi due anni.
Nel frattempo, in assenza di una strategia politica, si protrae fino allo sfinimento una tattica comunicativa in cui il cavaliere è maestro: essere sempre al centro della scena e del dibattito, soprattutto quando ha meno potere, soprattutto quando rischia l’oblio. La popolarità, insegnano gli esperti, precede il consenso, che può sempre essere raggranellato all’ultimo momento, con un coupe de teatre: di qui gli annunci, le voliere, le indiscrezioni, le stanche ricostruzioni giornalistiche di segretissime riunioni, il racconto melodrammatico del condottiero rinchiuso, coccolato dalla compagna, dal cagnolino e pochi selezionati consiglieri.
Di nuovo fissato alla data di lunedì, poi di ieri, il videomessaggio è di nuovo procrastinato, forse per evitare la concomitanza col risarcimento da 500 milioni per il Lodo Mondadori o forse per giungere a ridosso del voto di oggi. Ieri sera a Matrix voci non confermate parlavano addirittura di quattro versioni del videomessaggio: meiosi, seconda generazione di mitosi o proliferazione di videomessaggi illegittimi, impostori e figli di nessuno? In ogni caso, nessun vantaggio tangibile nel far saltare il tavolo, soltanto il rischio di uno scontro anagraficamente impari con la betoniera Renzi, il quale lo sa e fa ciò che gli riesce meglio cioè il galletto. Il video messaggio torna probabilmente nel cassetto, sarà utile alla prossima occasione come dichiarazione di guerra, in attesa di un salvifico sondaggio talmente positivo da rendere conveniente per un incandidabile il ricorso alle elezioni. Oppure, in alternativa, come risibile arma segreta con cui minacciare i tordi (del PD) tirandola per le lunghe ancora un po’.
di Daniele Trovato