“La maternità è altrove”: lo spettacolo-inchiesta sull’utero in affitto

Il Teatro Eliseo ha ospitato l’evento promosso dal blog del Corriere della Sera 27esima ora, La maternità è altrove – Sei personaggi in cerca di risposte, un testo scritto dalla giornalista critico teatrale del Corriere della Sera Emilia Costantini, sulla base di alcune interviste realizzate da Margherita De Bac e Monica Ricci Sargentini. Sei gli attori che hanno dato voce ai diversi personaggi: Stefania Rocca nei panni di una madre intenzionale che spiega quanto sia difficile per la coppia l’iter da seguire, confrontandosi con l’esperienza di una donatrice, interpretata da Gabriella Pession, quella di una madre surrogata (Paola Turci) e una figlia dell’eterologa (Serena Rossi). A fare da contraltare le battute sarcastiche di Massimo Poggi, nei panni di un marito divorziato e le domande di una finta spettatrice, Pamela Villoresi.

Si tratta dunque di un dialogo che, attraverso i racconti delle diverse esperienze, mette in evidenza i differenti aspetti che caratterizzano la complessa questione della fecondazione eterologa e della maternità surrogata: diversi punti di vista che si confrontano tentando di dare non delle risposte, ma degli spunti di riflessione. Spunti, per l’appunto, che sono stati dibattuti nella discussione moderata dalla giornalista Franca Fossati che è seguita allo spettacolo e in cui sono intervenuti diversi intellettuali. Anche qui diversi i punti di vista, seppure tutti favorevoli alle nuove tecniche di fecondazione: per riprendere le parole del prof. Corbellini, filosofo ed epistemologo, “la preoccupazione deve esserci se si fa danno a qualcuno, se non si fa danno a nessuno non vedo perché si debbano porre ostacoli… Quale futuro avere, voglio che se lo prefiguri mio figlio, io posso solo trasmettere le mie esperienze come insegnamento… Se mai il problema è mettere i giovani più prematuramente in condizione di fare scelte.” E forse è proprio questo il problema: lasciare che la nostra libertà finisca quando inizia quella degli altri: chi siamo noi per giudicare questo o quell’altro, per distinguere ciò che bene da ciò che è male? Il problema allora diventa etico: “non è eticamente corretto”, ma questa correttezza chi l’ha decisa? Siamo nel 2016 e certi clichè forse andrebbero abbandonati, ci dovrebbe essere più libertà di parola, di pensiero e quindi di agire.

Certo, se poi pensiamo alla frase pronunciata dalla madre surrogata: “I genitori intenzionali mettono gli ingredienti, io sono il forno”, non possiamo non esprimere un giudizio negativo (in questo caso non di eticità, ma di dignità): il corpo di una donna non può essere ridotto ad un forno perché, come ha affermato giustamente la giornalista e conduttrice tv Ritanna Armeni, “il fatto di avere nel corpo per nove mesi una vita ha una sua drammaticità”. Sicchè le perplessità espresse dal marito divorziato quando la madre surrogata parla addirittura di “cataloghi” in cui scegliere le caratteristiche fisiche dei donatori (pressochè simile ad un catalogo di abbigliamento) sono comprensibilissime. La Armeni proseguendo, poi, apre il capitolo adozioni: “Come mai non siamo riusciti a far diventare questo un progetto più grande? Si è parlato pochissimo di adozioni … perché non accettare i nostri limiti?”ed è vero. Sì alla scienza, sì al progresso, ma ogni tanto forse se ridimensionassimo il nostro ego potremmo dare affetto a chi altrimenti sarebbe destinato a non averne affatto e allo stesso tempo soddisfare il desiderio di maternità: d’altronde, come ha affermato Pamela Villoresi, “il figlio è di chi lo cresce”.

 

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Twitter: @ludovicapal