Berlusconi o la giustizia: uno dei due deve decadere
La società ha i criminali che si merita, disse oltre un secolo fa il criminologo francese Alexandre Lacassagne, e noi abbiamo i senatori che ci meritiamo se c’è un intero esercito di fedeli a lottare per la permanenza a Palazzo Madama del pregiudicato Silvio Berlusconi, condannato per frode fiscale ai danni dello Stato.
Se la logica tradizionale di aristotelica memoria ci porta sillogisticamente a dare per scontata la decadenza, dopo condanna definitiva, di un qualunque funzionario pubblico dalla sua carica, il meccanismo logico si intoppa quando parliamo di qualcuno abituato a piegare la giustizia a seconda delle necessità. L’ostinato tentativo di Berlusconi di restare inchiodato al suo scranno in Senato (sebbene l’esiguo numero delle presenze in aula sembri sconfessare quest’attaccamento) è questione su cui si arrovellano i suoi azzeccagarbugli per forzare le regole ed è terreno di battaglia tra i due soci di maggioranza Pd e Pdl. Tamburi di guerra sembravano rullare in sottofondo alla richiesta presentata in Giunta dal senatore Andrea Augello (Pdl) di convalidare la carica di Berlusconi. Pd e Pdl voteranno sulla questione in maniera differente, com’è ovvio per due schieramenti che dovrebbero essere, almeno per ideale vocazione, contrapposti. Ci si aspetta che il voto sulla questione renderà trasparente l’inconsistenza delle larghe intese: il momento della verità, su proposta del presidente della Giunta per l’immunità al Senato Dario Stefano (Sel) approvata all’unanimità, sarà mercoledì 18 alle ore 20:30.
Quello della decadenza dovrebbe essere un meccanismo automatico per morale oltre che determinato della legge Severino. Il cavillo della discussione dell’applicabilità della legge in maniera retroattiva non redime la questione etica, ma questo non pare interessare ai fedelissimi del Cavaliere; addirittura Maria Stella Gelmini rinnega la legge Severino: «Votarla è stato un errore, sull’onda dell’emotività e dell’indignazione del Paese dopo i casi Fiorito e Penati». Perché Berlusconi non sia considerabile un delinquente parimenti ai due sopracitati resta un mistero della fede.
L’arma di ricatto nelle mani del Pdl è la tenuta di governo e un voto sgradito mercoledì potrebbe diventare detonatore per la rottura della stabilità. Brunetta non lesina minacce più o meno velate: «Sarà il Pd a rompere la maggioranza di governo, perché se il Pd voterà assieme a Grillo romperà la maggioranza con il Pdl. Quindi sarà il Pd a far cadere il governo Letta». Rincara la dose la senatrice Simona Vicari, sottosegretario allo Sviluppo economico: «Sia chiaro, se il governo dovesse cadere la responsabilità sarà del Pd». Suonerà retro ma il Pd avrà colpa in caso contrario, ovvero se proteggerà un condannato tra le mura del palazzo del Senato. Su questo riflette Civati, disegnando un panorama apocalittico nel caso in cui mercoledì riapparisse qualche franco tiratore per salvare Berlusconi, e sul suo blog scrive: «Se qualcuno pensa di salvare Berlusconi per salvare il governo si sbaglia di grosso. Otterrebbe l’effetto contrario: quello di fare precipitare tutto verso le elezioni (perché anche un’altra maggioranza sarebbe a quel punto inimmaginabile). E giustamente non ci voterebbe più nessuno».
di Francesca De Leonardis