Spalletti, le vittorie inaspettate ed il Fattore C
Spalletti ha cambiato il volto alla Roma. Da quando è arrivato lui i giallorossi hanno cominciato ad avere un gioco più fluido, creano occasioni da goal, alcuni giocatori sono rinati, la squadra è più tonica. Tutto vero ma…ma c’è un ma. Un grosso ma. Tutto ciò lo possiamo dire perché la Roma di Spalletti ha vinto le ultime tre partite, l’ultima contro la disastrata Sampdoria. Ma quanto sarebbero cambiate le cose se la girata di Cassani all’ultimo minuto non fosse finita sulla traversa ma in porta? Ed il turno precedente contro il Sassuolo? La Roma passa in vantaggio, domina, va vicina al secondo gol più volte, ma soffre per tutto il secondo tempo, e proprio a due minuti dalla fine rigore per il Sassuolo a causa di uno sciagurato fallo di Nainggolan. Sul dischetto va Berardi ma la voglia gobba di segnare gli tira un brutto scherzo, la prende malissimo e la palla finisce in curva. Poi la Roma raddoppia. Ma che sarebbe successo se la conclusione di Berardi fosse finita in rete? Perché l’allenatore è importante, dà un’idea gioco, crea l’ambiente, lavora sulla psiche dei calciatori ma poi fondamentale resta il cosiddetto Fattore C. Si, possiamo anche dirlo apertamente. Per vincere serve (anche) culo. Bisogna averlo tutto, tanto anzi parecchio. E fino ad ora Spalletti sembra averlo. Garcia lo aveva perso da un bel po’. Anche l’Inter di Mancini ad inizio campionato sembrava averne una buona dose, con la sua sequenza di 1-0, solo che poi oltre a quello non è sembrata avere una grande idea di gioco ed il fattore C ti fa vincere le partite, non interi campionati. Questo nel calcio, in altri sport invece…
Ma restiamo nel calcio, almeno per un po’. Nel grande calcio. Mondiali di calcio del 1994 negli Stati Uniti. L’Italia è guidata da Arrigo Sacchi, probabilmente uno dei più grandi allenatori della storia, il suo Milan di Gullit, Van Basten, Baresi e tanti altri campioni, è stata una delle squadre più belle e vincenti di sempre. Una rivoluzione per il calcio i suoi metodi, i suoi schemi, ancora oggi molti allenatori si ispirano a lui. Ma come CT non sembrava avere lo stesso tocco da Re Mida. La Nazionale non divertiva ed il mondiale per l’Italia iniziò nel peggiore dei modi, sconfitta contro l’Irlanda ed una prestazione assolutamente scialba. Sacchi in quel momento non riscuote la simpatia dell’italico stivale, i suoi schemi sembrano imprigionare i nostri campioni, Baggio non sembra affatto il “divin codino”. Oltretutto viene reso pubblico un video nel quale Sacchi sgrida Benarrivo colpevole di non occupare la posizione esatta che Sacchi richiedeva. Apriti cielo, questo non è calcio! Insorgono le gazzette, Sacchi sembra tarpare la creatività dei suoi campioni per piegarli ai suoi schemi. Arriva la seconda partita, contro la Norvegia, e l’Italia in dieci per il rosso siubitaneo a Pagliuca finalmente vince. Goal di un Baggio, ma Dino, che con il più celebre omonimo condivide solo il cognome, ma uno fa sognare, l’altro, come si suol dire, fà il fabbro a centrocampo. Partita scialba, vittoria che non convince. A quel punto con la vittoria si passa, col pareggio forse, e noi (per la nazionale si può dire “noi”) pareggiamo. Arriviamo terzi in un girone che non si può sicuramente definire “di ferro” e passiamo come peggiore tra le migliori terze. Ripescati, in pratica. Già questa è una bella botta di C. Agli ottavi affrontiamo la Nigeria. E quella era una gran Nigeria. L’Italia parte male e dopo 20 minuti è sotto di un goal, segna Amunike. Gli Azzurri giocano male, a Baggio non arrivano palloni giocabili, mancano due minuti. Stiamo per essere eliminati, del famoso gioco di Sacchi non s’è mai vista traccia. Ma Baggio, a dispetto di ogni schema, viene servito da Mussi che ha vinto un contrasto e, quando tutto sembrava finito (come dice Pizzul) la infila all’angolino. Ai supplementari l’Italia, che si è improvvisamente svegliata, conquista un rigore che lo stesso Baggio segna. Si va ai quarti. Ed oramai Baggio è stato toccato dalla luce divina. Segna una doppietta contro la Spagna, andiamo in semifinale e Baggio fa una doppietta anche alla Bulgaria. Siamo in finale, contro il Brasile. Sacchi può diventare campione del mondo. Dopo mesi e mesi che si discute dei suoi schemi si è trovato in finale grazie all’estro del suo giocatore più ricco di talento. Il gioco non s’è visto, ma il merito diventerebbe suo. Ma il fattore C ha dei limiti, almeno nel calcio. La finale, che contro i brasiliani si prospettava una festa del calcio, è una delle più brutte di tutti i tempi. Mai un tiro in porta e l’unico brivido è un pallone che sfugge a Pagliuca e finisce sul palo. Pagliuca baciò il palo. Ed è stata l’ultima apparizione del famoso Cul-de Sac. La partita si trascina ai rigori e come tutti tristemente ricordiamo, perdiamo. Errori di Baresi, Massaro e….si, proprio lui. Baggio. Il Fattore C ti può portare in cima, ma ti ci può anche abbandonare. Improvvisamente.
Ma in un altro sport il fattore C ha scritto una delle storie più belle, folli ed originali della storia dello sport. L’eroe di questa storia si chiama Steven Bradbury. La sua specialità è lo short track. Per chi non mastica di sport invernali è pattinaggio veloce su ghiaccio in un circuito ovale. Bradbury, che è un eclettico, smessi i pattini è diventato pilota automobilistico, ha avuto un ottimo inizio di carriera con bronzo nelle Olimpiadi del 1994 nei 5000 staffetta e tre medaglie ai mondiali (un oro, un bronzo ed un argento) tra il 1991 ed il 1994. Ma ai mondiali del 1995 rischia addirittura di morire a causa di un incidente nel quale gli viene recisa l’arteria femorale in uno scontro con il pattinatore italiano Mirko Vuillermin. Perde 4 litri di sangue e gli vengono applicati 111 punti di sutura. Dopo un anno e mezzo ricomincia a gareggiare, ma ovviamente l’infortunio pesa parecchio. Si infortuna di nuovo, nel 2000, si frattura il collo in allenamento ed è costretto a portare un collare ortopedico per un paio di mesi. Fin qui sembra che il fattore C gli sia contrario. Ma lui desidera fortemente andare alle Olimpiadi, quelle che saranno le sue ultime Olimpiadi. E riesce, nonostante tutto, a qualificarsi per i giochi di Salt Lake City. Tutti pensano che non riuscirà mai ad arrivare in finale, ma neanche in semifinale. Diciamo che è lì per amor di sport. Ed infatti ai quarti di finale dovrebbe uscire, arriva terzo. Ma il secondo viene squalificato. E così passa. In semifinale le speranze sono ancora di meno. Il coreano, il canadese ed il cinese sono tre fuoriclasse, se la dovrebbero giocare tra loro. Invece i suoi avversari uno ad uno cadono e lui si ritrova incredulo a tagliare il traguardo per primo. Bradbury è in finale. Certo se gli avversari non fossero caduti non ce l’avrebbe mai fatta, ma è una bella favola comunque. Parte la finale, i favoriti scattano subito in testa, Bradbury è ovviamente ultimo, anche con un discreto distacco. All’ultimo giro il campione cinese tenta il sorpasso dell’americano Ohno ma scivola e si porta giù anche il suo avversario ed i due intralciano e fanno cadere anche il canadese ed il coreano. Steven no, lui va abbastanza piano da evitare tutti e tagliare il traguardo da primo e diventare campione olimpico. Non ci crede lui, non ci credono i tifosi, non ci crede nessuno ma è vero. Diventa il personaggio simbolo delle Olimpiadi. L’ Australia gli dedica anche un francobollo e nasce anche un nuovo modo di dire “doing a Bradbury” che vuol dire vincere inaspettatamente grazie al….ebbene si, lui. Sua maestà Il Fattore C. Ma è un caso indubbiamente unico, Spalletti farebbe bene a sistemare un po’ la difesa (e la mira di Dzeko). Sperando che il fattore C non lo abbandoni mai.