Le volée di Nadal e i nervi di Djokovic

Sarà pure una banalità, ma alla fine di un torneo lungo e faticoso come lo Us Open contano i dettagli. Soprattutto, poi, quando nell’ultima partita, quella decisiva, si affrontano due tennisti simili, che si conoscono forse come nessun altro grazie a quei 37 match giocati l’uno contro l’altro.

 

Come scrisse John McPhee in quella pietra miliare della letteratura sul tennis (e non solo) che è Livelli di gioco, «una partita lottata, tesa, in cui i due avversari si esprimono al meglio è prima di ogni altra cosa uno scontro di psicologia – specie se i due si conoscono talmente bene da non temere sorprese di tipo tecnico». In altre parole, Djokovic conosce Nadal, sa che non si stancherà (e se si stancherà non lo mostrerà di certo a lui). Sa che per intaccare la sua difesa deve escogitare almeno tre vincenti consecutivi, tutti angolatissimi, se non vuole ritrovarsi per settimane nella home-page di youtube come “miglior attore non protagonista” in un punto kolossal. Viceversa Nadal sa che Djokovic dà il meglio di sé nei momenti difficili; e sa che se vuole minarne l’esibita solidità mentale deve spuntarla negli scambi lunghi, quelli in cui i secondi sono scanditi dall’impatto della pallina sul piatto-corde e i centesimi dallo scalpiccìo delle suole sul decoturf.

Questi sono stati i dettagli cruciali della finale. E se Nadal ha vinto il suo secondo Us Open è perché è stato più bravo ad approfittarne. Più bravo, ad esempio, a restare concentrato. E determinato. Più bravo nel dominare psicologicamente. Anche quando Djokovic nel secondo set maneggiava chiaramente il match a suo piacimento, e umiliava ripetutamente il servizio del maiorchino recapitandogli tra le gambe scaldabagni, comodini e arredi vari. Nadal è rimasto in piedi anche quando il serbo ha vinto quel punto – già entrato nella storia – maturato dopo 54 scambi a tutta potenza. E quando è caduto (non è retorica, è caduto davvero) ha poi portato a casa un game complicatissimo, partendo dallo 0-40 per Djokovic e mettendo a segno l’unico ace del suo match.

Il punto è che, dopo quei 54 scambi, mentre Nole alzava le braccia al cielo, Rafa tornava al suo posto, tre metri dietro la linea di fondo, e siglava il contro-break della svolta. Può piacere o non piacere, ma a parte quei 53 errori gratuiti che pesano eccome, a Djoko sono mancati i nervi: quelli che vorrebbe far sembrare saldi e che tuttavia saltano, soprattutto quando l’unica differenza tra il tuo avversario e un robot lanciapalle non sono tanto i 20 errori non forzati (probabilmente un robot ne fa di più), ma un paio di volée deliziose. Nole dovrà allenarsi in questo, ad essere più solido di un robot che sbaglia poco. E che fa belle volée.

Ah, qui trovate quel punto di cui vi parlavo –> Djokovic vs Nadal – 54 hits

E qui la cronaca del match –> Nadal batte Djokovic e torna a vincere gli Us Open

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