Verdone-Albanese, il connubio più atteso dell’anno
Carlo Verdone ritorna, a due anni dall’ultimo lavoro Sotto una Buona Stella, con il suo L’abbiamo Fatta Grossa, film nel quale l’attore romano cura regia e sceneggiatura con l’aiuto di Pasquale Plastino e Massimo Gaudioso. Nel cast tra gli altri, il coprotagonista Antonio Albanese, che per la prima volta si trova a recitare accanto a Carlo Verdone. La produzione della pellicola è affidata alla Filmauro, per un sodalizio cominciato nel 2006 con Il Mio miglior Nemico. La trama dell’opera ruota intorno ad una serie di malintesi che vedono coinvolti i due protagonisti Arturo Merlino e Yuri Pelagatti, il primo un investigatore privato, ormai ridotto al solo ritrovamento di gatti dispersi e alla scrittura di qualche libro dove sogna e racconta del suo alter ego investigativo; l’altro, un attore teatrale mediocre, in crisi professionale dopo la separazione dalla moglie a tal punto da dimenticare le battute sceniche durante i suoi spettacoli. Quando Pelagatti chiederà a Merlino di aiutarlo a scoprire la nuova relazione della moglie con il suo avvocato, una serie di equivoci, legati ad una valigetta contenente un milione di euro, genererà un susseguirsi di comiche gag e disavventure, fino alle sbarre del carcere.
Il film segna una virata netta e decisa nell’universo filmico di Verdone. L’attore e regista, infatti, dismette la commedia psicologica, introspettiva e sofisticata (Borotalco, Un Sacco Bello, Acqua e Sapone, Troppo Forte, Sono Pazzo di Iris Blond) per approdare ad un cinema più semplice e commerciale, dove riemergono caratteri superficiali e meno complessi. Il melodramma è pur sempre vivo e presente nel racconto, ma le maschere pirandelliane, inevitabile rimando dei suoi lavori migliori, si perdono in un canovaccio privo di forza e coraggio, mai realmente intrigante e coinvolgente. Verdone è un autore che ha creato una svolta nel panorama comico italiano, lì dove il complesso mondo dei suoi personaggi riemergeva da un tessuto sociale capitolino di fine anni settanta inizio ottanta, con tutto l’incanto e il disincanto di quegli anni difficili. La solitudine dei personaggi, la loro inadeguatezza al mondo circostante, consegnavano drammi moderni e solitari, comici nel loro incedere relativo, affascinanti nell’accettazione della sconfitta. L’abbiamo Fatta Grossa, definibile come noir comico, mostra sì un’indiscutibile eleganza, ispirata da un colore fotografico omogeneo e compatto (Woody Allen) come lo stesso Verdone sottolinea nella conferenza che segue la proiezione per la stampa romana, ma i personaggi risultano secondari al racconto, sembrano denudati della propria identità, come marionette legate ai fili di un impacciato e poco ispirato burattinaio. Albanese, seppur bravo e complementare, non riesce ad esprimere tutto il suo potenziale emotivo; il suo carattere più opportunista ed accattone, rimane sospeso in un limbo espressivo debole, lontano dalla famiglia (vedi i rapporti con la moglie e i figli) e dalla sua professione (un mediocre attore teatrale che vive di sotterfugi).
C’è qualche rimando, visto il connubio attoriale, a qualche passo a due del passato cinematografico. I più opportuni, visto l’oggetto di discussione della trama ovvero l’involontaria truffa e l’inadeguatezza rispetto alla stessa, sono quelli di “Totòtruffa 62” (Totò/ Taranto) , ai quali si riallacciano per una serie di travestimenti e trasformismi degli stessi Albanese e Verdone, oppure alla commedia La Banda degli Onesti, richiamando alla memoria l’accoppiata Totò-Peppino De Filippo, con la scena del solarium e delle banconote da cinquecento euro, simile visivamente, a quella della fabbricazione delle banconote del duo partenopeo. Bella la scelta dei luoghi scenici, meno iconografici ma più inusuali ed interessanti, ovvia ricerca per chi, come Verdone, ama girare nella sua Roma che, come lui stesso afferma in conferenza, è stata già ampiamente “setacciata” dal cinema italiano.
Nella chiacchierata con la stampa che ha seguito la visione del film, c’è stato spazio però per tutta una serie di aneddoti ed ovvi ringraziamenti per una collaborazione sinergica tra i due attori, sottolineata anche dal produttore Aurelio De Laurentiis, presente in sala. La visione del film resta comunque gradevole, leggera e spensierata, forse utile in un clima teso come quello che viviamo in questo momento storico. La risposta di Verdone ad una domanda giornalistica sul finale, su quale tra i personaggi dell’antica Roma vedrebbe oggi come guida di una capitale allo sbando, addolcisce tutta la platea e ci riconsegna il suo volto docile, premuroso e malinconico. L’autore romano infatti cita Seneca (Epistulae morales ad Lucilium) come guida spirituale, la sua personale ed indispensabile carezza della sera, prima di riaddormentare il corpo e l’anima al cuscino. Quella poetica e melodrammatica visione verdoniana, ci fa perdonare, in parte, anche un mezzo passo falso o un’opera meno brillante e riuscita: è stato bello vedere convergere sulla scena due attori di quel calibro; pensare a tutto ciò che sarebbe potuto accadere lascia, però, un piccolo e malinconico retrogusto amaro.