Grazia? No, grazie
Chiuso in terzo grado il processo Mediaset ma quando un procedimento giudiziario si carica di suspense mediatica e tifo da stadio ecco che può ancora presentarsi un colpo di scena, così il Pdl nelle persone di Brunetta e Schifani corre da Napolitano in cerca di un finale diverso.
La Corte di Cassazione ha chiuso il cerchio del processo Mediaset, confermando la condanna di Silvio Berlusconi a quattro anni di reclusione per frode fiscale e lasciando da revisionare solo la durata temporale della condanna all’interdizione dai pubblici uffici. Sentenza da accettare senza se e senza ma, eppure chi vive di escamotage una via d’uscita prova sempre a cercarla, così l’esercito di Silvio, una massa non troppo numerosa ma battagliera, nostalgica del ’94 e armata di vecchie bandiere di Forza Italia, domenica 4 agosto è accorsa idolatrante in via del Plebiscito a Roma. La simbologia, gli inni del partito, la ritualità: tutto è al suo posto. A eccezione proprio dei manifestanti, considerato che più di uno di loro ha dato prova di non avere idea di quali fossero i reati per cui il loro leader è stato condannato. Dal palco allestito sotto Palazzo Grazioli Berlusconi ha parlato circa venti minuti, con toni provati e commossi ma corredati da velenose accuse indirizzate alla magistratura, illazioni che fanno a pugni con le note dell’inno d’Italia che hanno aperto il discorso. Le parole pronunciate sono chiare e al vetriolo: «La magistratura ha tentato di buttarmi fuori per vent’anni dalla politica, ora hanno raggiunto il loro traguardo» e ancora «lo dico guardandovi negli occhi uno a uno e lo direi anche guardando negli occhi i miei cosiddetti giudici: io sono innocente». Già dentro quel “cosiddetti” c’è un’accusa grave e infondata, ridondanza di un reiterato atto diffamatorio reso possibile da un processo mediatico di martirizzazione del leader.
Uno spettacolo prevedibile e che, dopotutto, non interessa troppo al di là del folklore ma che minaccia ripercussioni sulle larghe intese. Il premier Letta ha provato, con scarsi risultati, a rassicurare gli animi, compito ancor più difficile quando la Santanché dichiara altezzosa che a lei di questo governo non importa un bel niente. Accantonata l’idea di chiedere al capo dello Stato la grazia, impensabile per chi ha subito altre condanne ed è coinvolto in altri processi, i capigruppo Pdl di Camera e Senato, Renato Brunetta e Renato Schifani, sono ugualmente saliti al Colle per discutere con Napolitano di una possibile soluzione che assicuri a Berlusconi l’agibilità politica. Tra le ragioni portate al Quirinale quella della stabilità del governo, che pare non poter proprio fare a meno di un pregiudicato. L’incontro è durato circa un’ora, poi la coppia Brunetta-Schifani si è recata per il resoconto a Palazzo Grazioli, dove tra l’altro Berlusconi aveva chiamato a raccolta i suoi avvocati per discutere della scelta tra arresti domiciliari e servizi sociali.
Mercoledì si discute in aula della decadenza di Berlusconi dalla carica di senatore: la legge Severino per le liste pulite prevede infatti che quando l’incandidabilità, determinata da condanne definitive con pene superiori ai due anni di reclusione, sopraggiunge nel corso di un mandato ciò determini la decadenza della carica. La battaglia intrapresa dal Pdl è quella per non applicare la norma retroattivamente, ovvero per i reati commessi prima del dicembre 2012. Sul tema si scompaginano le posizioni, di certo pare problematico lasciare che un pregiudicato continui a esercitare le sue funzioni parlamentari, tra l’altro proprio mentre è in ballo un piano di riforma della giustizia.
di Francesca De Leonardis