Joy, Jennifer Lawrence e il sogno d’America
Joy Mangano è coperta di debiti fino al collo. Vive in una casa ipotecata con la madre maniacale, l’ex marito fannullone che occupa il seminterrato, una nonna sognatrice e i due figli piccoli. Quando allo strano quadretto si aggiunge, fresco di rottura sentimentale, anche il padre (Robert De Niro), la situazione sembra sul punto di esplodere. Joy è carina e solare, ma estremamente sfortunata, con un cassetto pieno di sogni andati in fumo e un talento e un’intuitività mai espressi.
A soffiare sul suo cuore e sul suo ottimismo, la voce della nonna che, sin da piccola, le ricorda che nel suo nome è racchiuso il senso della sua esistenza, che nel suo nascere è destinata a portare “una presenza gioiosa nel mondo“. E così Joy si ingegna fino ad escogitare un mocho avanguardistico per le donne del tempo, che fa da solo tutto il lavoro sporco, impegnandosi senza sosta e senza risparmiarsi per portare la sua idea lontano, indebitandosi ancor più di quanto non avesse già fatto.
In questo tragitto, fatto di sconfitte e sfide continue, Joy è così disperatamente sola, in alcune circostanze gli amici e i parenti più stretti la aiutano, ma nella maggior parte dei casi le remano contro. Un quadro di caratteri, ognuno a modo suo, diversamente folli. Ma la storia di Joy termina con una pagina gioiosa, sebbene la prospettiva del film ponga l’accento sul continuo insuccesso di questa donna veramente esistita. E se il setting è, ancora una volta, l’America della provincia, il copione ci sembra già scritto.
Se non fosse per l’ottima Jennifer Lawrence, che da sola tesse le fila di un film intero, con la sua recitazione sempre un passo indietro ed emotivamente garbata, il film sarebbe l’ennesima storia sul riscatto americano. Strano, perché l’opera di David O.Russel, che aveva firmato la regia anche de “Il lato positivo” e “The american Hustle“, sempre con lo stesso trio d’attori – Lawrence, De Niro, Bradley Cooper – segna un passo indietro rispetto nella carriera del regista, che piomba senza rimedio nel nazionalismo più scuro, illuminato solo a sprazzi da quella presenza gioiosa che è Jennifer Lawrence.