L’Egitto e l’assenza di un vero leader

Quello che sta succedendo in Egitto in questi mesi ci restituisce un realtà politica, quella egiziana per l’appunto, estremamente frammentata, scomposta da sterili e sanguinosi avvicendamenti politici.

 

La rivoluzione iniziata nel 2011 e che molti erroneamente definiscono conclusa, sembra -come sostiene Bernardo Valli nelle pagine de La Repubblica , dopo gli scontri fra i sostenitori del deposto presidente Morsi e le forze dell’ordine- offrirci un altro drammatico capitolo. Quanto è successo tra la notte del venerdì, al termine del digiuno quotidiano del ramadan e la mattina del sabato una volta ripristinate le regole della quaresima mussulmana, conferma l’intransigenza di chi si trova al potere. La protesta civile, sacrosanta in ogni paese democratico, diventa pretesto, spesso, in un Egitto politicamente immaturo, per efferati atti di violenza. Sia Morsi dunque che incarnava una forza politica totalmente intrisa di religione e così vicino all’islam, sia l’esercito capeggiato dal generale Sisi, di chiara ispirazione laica, non hanno rinunciato alla violenza pur di far tacere il dissenso manifestato nei loro confronti. Tutto quello che potrebbe mettere in discussione il potere in Egitto viene senza esitazione di volta in volta represso con il sangue. Il generale Sisi ha dunque perso l’opportunità, una volta salito al potere dopo l’inevitabile destituzione di Morsi, di assumere un ruolo super partes, quindi più conciliante con quella che rimane l’espressione politica più consistente in Egitto: i Fratelli Mussulmani.
Poco conta se non sono stati i militari guidati da Sisi, ma le forze dell’ordine, a sparare sui civili che rivendicavano la scarcerazione di Morsi; il risultato è che episodi di questo genere alimentano l’odio nel paese impedendo di seguire la via del confronto e del dialogo.

In un paese dove il tasso di analfabetismo risulta essere molto alto; dove la patente debolezza di una società civile incapace di organizzarsi in associazioni che possano fare da contrappeso democratico alle rigide forze governative,l’unica soluzione appare -come ci fa notare nell’intervista rilasciata a Reset, lo studioso turco-americano Timur Kuran– quella di “affidarsi a un leader straordinariamente capace e carismatico… che sappia convincere la gente a farsi carico di una riduzione dei sussidi in cambi di benefici sul lungo periodo”. Ma a tutto questo L’Egitto, sotto il peso del suo tragico fallimento, sembra ancora lontano.

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