Clamoroso Spagna: si gira a sinistra

A qualche settimana dal voto il mondo politico spagnolo è stato sconvolto da una rinuncia senza precedenti. Incredibile ma vero: la Spagna ha chiuso definitivamente i conti con il bipolarismo e le politiche di austerità. Ed ora la palla passa a chi a dicembre tutto si aspettava tranne che un assist simile.

 

Mariano Rajoy ha ufficialmente rinunciato a presentarsi a una nuova investitura davanti al Congresso dei deputati, declinando l’invito ricevuto dal re Filippo VI a formare un nuovo governo. A riferirlo è stata l’agenzia Efe, che cita un comunicato del Palazzo Reale della Zarzuela, subito ripresa dalle testate di tutta Europa. Nessuno si aspettava una marcia indietro così clamorosa per il Partito Popolare, uscito comunque come partito di maggioranza relativa dalle elezioni del 20 dicembre. Adesso, cosa che non accadeva dal 1977, il sovrano dovrà riaprire le consultazioni a partire dal 27 gennaio; e gli occhi di tutti sono puntati sull’inaspettata alleanza PSOE-Podemos che, se qualche settimana fa sembrava solo una lontana ipotesi, da oggi si va concretizzando ogni giorno di più.

 

Il re affiderà l’incarico di provare a formare un nuovo governo a Pedro Sanchez, leader del PSOE, che contestualmente al peggior risultato del Partito Socialista degli ultimi anni si gioca quindi l’opportunità di diventare primo ministro. In barba ai fatalismi, giusto questa mattina Pablo Iglesias, nel corso della conferenza stampa al Congresso dei Deputati (video qui sotto), ha fatto un’apertura straordinaria al leader del PSOE, dichiarando la disponibilità di Podemos a formare un governo con i Socialisti e i comunisti di Isquierda Unida (IU). La formazione di governo prefigurata dal leader del movimento prevede Sanchez come primo ministro, Iglesias come vice e probabilmente Alberto Garzon (leader di IU che poche ore fa ha espresso il suo sostegno al programma di Iglesias) come ministro. I tre partiti insieme disporrebbero di un bacino di deputati ben più ampio di quelli del Partito Popolare, ma non sufficienti ad avere la maggioranza assoluta. La situazione è quindi particolarmente delicata: da un lato per i dubbi che potrebbero sorgere dentro la casa socialista (che dovrebbe assumersi la responsabilità di una maggioranza imprevedibile) in particolare rispetto alla questione della Catalogna, dall’altro per le difficoltà intrinseche a un percorso parlamentare di questo tipo.

 

Per Sanchez e il PSOE accettare significa cambiare rotta – abbandonando per sempre l’ipotesi delle larghe intese e rimettendo in discussione le politiche socialdemocratiche volte all’austerity; non accettare significa andare alle urne, e con ogni probabilità finire terzo o quarto partito. La mossa di Iglesias, uscito molto forte dalle urne, è strategicamente azzeccata: sia in vista di un governo che di un ritorno alle urne Podemos si attesta come forza politica determinata e responsabile. Occorre inoltre non dimenticare che a pesare in positivo ci sono il caso portoghese, l’ascesa di Corbyn e la caparbia Grecia (prima ad aver avuto il coraggio di andare contro le politiche neoliberiste). Si può decidere di non rischiare, certo, oppure di concretizzare un’alleanza mediterranea che non è più solo un’utopia; capace di mettere in discussione tanto l’austerità quanto la concezione stessa dell’Europa, sfidando dal basso l’ordoliberismo tedesco e l’asset conservatori-socialdemocratici, rivendicando la necessità di un’altra Europa, più umana, più giusta e più eguale. Che forse si, è la vuelta buena, almeno per cominciare a camminare.

@aurelio_lentini