L’ INAPPLICABILITA’ DEL NUOVO ART. 18 AI PROCESSI IN CORSO ALLA DATA DEL 18 LUGLIO 2012
La Cassazione, con la sentenza n. 10550 del 7 maggio 2013, ha affermato il principio secondo cui il nuovo art. 18 dello Statuto dei lavoratori, così come riformato dall’art. 1, comma 42 della legge di riforma del mercato del lavoro (L n. 92/2012), non può trovare applicazione alle cause riguardanti i provvedimenti di licenziamento in corso alla data del 18 luglio 2012, anche per la mancanza di una disciplina transitoria.
La vicenda riguardava un lavoratore, ex dipendente Telecom, licenziato per aver inviato oltre 13mila sms, in meno di un anno, dal telefono aziendale, provocando un danno dell’equivalente in euro di circa 3 milioni di lire.
La Corte d’appello di Napoli, ribaltando la decisione del Tribunale di primo grado, che avallava e giustificava la giusta causa del licenziamento, riteneva il licenziamento una sanzione eccessiva e non proporzionata al fatto contestato al lavoratore, ordinando la reintegrazione del dipendente sul posto di lavoro ed il pagamento degli arretrati (retribuzioni e contributi maturati nel frattempo).
In sede d’Appello, i giudici non hanno riscontrato “raggiri o frode” nel comportamento del lavoratore poiché il danno era lieve e poteva essere verificato facilmente.
La Telecom proponeva allora ricorso avverso la pronuncia della Corte d’Appello di Napoli insistendo sull’applicazione al caso di specie delle nuova disciplina introdotta dalla legge 92/2012 (c.d. Legge Fornero).
Per converso, secondo la Suprema Corte, la disciplina in argomento non può trovare applicazione, poiché la legge 92/2012 ha introdotto “una nuova, complessa ed articolata disciplina dei licenziamenti che ancora le sanzioni irrogabili per effetto della accertata illegittimità del recesso a valutazioni di fatto incompatibili non solo con il giudizio di legittimità ma anche con una eventuale rimessione al giudice di merito che dovrà applicare uno dei possibili sistemi sanzionatori conseguenti alla qualificazione del fatto (giuridico) che ha determinato il provvedimento espulsivo”.
Una diversa interpretazione, continua la Corte, “risulterebbe in contrasto con il principio della “ragionevole durata del processo” sancito sia dall’art. 111 della Costituzione che, dall’articolo 6 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo (Diritto a un equo processo), nonché dall’articolo 47 della Carta Europea dei diritti fondamentali (Diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale).
Inoltre giova evidenziare come “la norma in esame prevede che nei casi di natura discriminatoria del licenziamento, inesistenza della condotta addebitata e la sua riconducibilità tra quelle punibili solo con una sanzione conservativa, sussiste il diritto del lavoratore ad essere reintegrato nel posto di lavoro e ad ottenere un “pieno” risarcimento del danno. In tutti gli altri casi di accertata illegittimità del licenziamento per mancanza di giusta causa o di giustificato motivo soggettivo, il nuovo comma 5 dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori prevede solo una tutela risarcitoria tra 12 e 24 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto percepita”.
Ed è proprio questa ipotesi, su cui la Telecom insisteva nel suo ricorso e che la Cassazione ha dichiarato non applicabile in quanto il processo era già in corso alla data di pubblicazione della legge.