IL RISARCIMENTO DEL DANNO BIOLOGICO, MORALE ED ESISTENZIALE
La Corte di Cassazione ha recentissimamente riconosciuto il diritto al risarcimento del danno biologico, morale ed esistenziale del lavoratore privato, di fatto, di ogni compito lavorativo restando così pregiudicato nella sua identità culturale e professionale.
Nella fattispecie esaminata dalla Suprema Corte sono stati confermati i giudizi di merito di primo e secondo grado nei quali una Società era stata condannata a risarcire il danno biologico, quello morale nonché quello esistenziale in favore di un lavoratore trasferito in un’altra sede di lavoro, privato, di fatto, di ogni compito lavorativo e posto in una condizione di isolamento e svilimento della sua dignità di uomo e lavoratore causativa dello stato depressivo in cui era caduto.
La Suprema Corte, precisando che con riferimento alla quantificazione del danno non “risulta alcun corrispondente motivo di appello” ha affermato che “non si riscontra alcuna duplicazione laddove le voci risarcitorie hanno distintamente riguardato (…) il danno biologico (inteso come mera lesione della integrità psicofisica), il danno morale (inteso come sofferenza interiore temporanea causata dalla commissione di un fatto illecito), il danno esistenziale (inteso come umiliazione delle capacità ed attitudini lavorative con pregiudizio all’immagine del dipendente sul luogo di lavoro)”.
La Suprema Corte ha inoltre evidenziato che “in tema di liquidazione del danno non patrimoniale, al fine di stabilire se il risarcimento sia stato duplicato ovvero sia stato erroneamente sottostimato, rileva non il nome assegnato dal giudicante al pregiudizio lamentato dall’attore (biologico, morale, esistenziale) ma unicamente il concreto pregiudizio preso in esame dal giudice”.
Si ha pertanto duplicazione di risarcimento solo quando il medesimo pregiudizio sia stato liquidato due volte, sebbene con l’uso di nomi diversi.
La Corte ha dunque ritenuto che non si possa parlare di alcuna duplicazione nel caso in cui si sia inteso risarcire differenti aspetti di danno non patrimoniale, vale a dire: a) la lesione dell’integrità psicofisica (con il danno biologico); b) la sofferenza interiore temporanea causata dalla commissione di un fatto illecito (con il danno morale); c) l’umiliazione della capacità ed attitudini lavorative con pregiudizio all’immagine del dipendente sul luogo di lavoro (con il danno esistenziale).
Quello che importa, evidenzia la Suprema Corte, non è il nome utilizzato, bensì il pregiudizio concretamente preso in esame: la duplicazione, in quanto tale censurabile, si ha solo quando con nomi diversi si cerchi di far risarcire due (o più) volte lo stesso pregiudizio.