Processo Mediaset, atto finale

Ultimo atto del processo Mediaset: è cominciata l’udienza di Silvio Berlusconi in Cassazione e i giudici della Corte Suprema si apprestano a scrivere la parola fine di una vicenda processuale di lungo corso. La tensione si addensa nell’attesa di un pronunciamento gravato dal peso di generare ripercussioni sul piano politico ancor più che su quello giudiziario.

Già da qualche giorno il quotidiano di proprietà della famiglia Berlusconi riporta il conto alla rovescia per il giorno X, questo 30 luglio che più di qualcuno avrà cerchiato sul calendario. La Cassazione di Roma ha avviato l’udienza sul cosiddetto Processo Mediaset, apertosi nel 2005, che vede imputato Silvio Berlusconi, insieme a Frank Agrama, Gabriella Galetto e Daniele Lorenzano. L’accusa per l’ex premier è quella di frode fiscale per i diritti di film acquistati da Mediaset. L’intreccio è chiaro: tramite passaggi di compravendita attraverso società offshore riconducibili proprio a Berlusconi (tra cui la Century One la Universal One) sarebbero stati gonfiati i prezzi pagati da Mediaset per l’acquisto di diritti televisivi e cinematografici targati Usa. Con questo giochetto il leader del Pdl avrebbe intascato in nero, frodando il fisco italiano, 280 milioni di euro. L’indagine, pur frenata dal Lodo Alfano, ha comunque portato alla condanna dell’imputato, in primo e in secondo grado, a quattro anni di reclusione e a cinque anni di interdizione dai pubblici uffici. La condanna riguarda le attività delle sole annualità 2002 e 2003 mentre per il 2001 il reato è andato prescritto.

La tensione è tangibile dentro e fuori il “palazzaccio” di piazza Cavour a Roma, dove il sostituto procuratore generale Antonello Mura nel corso delle sua requisitoria ha invitato a lasciare le passioni fuori dall’aula. Precisazione resa necessaria dalla piega che il “cavaliere” ha magistralmente dato alla vicenda, trasformando il processo di un singolo in una questione che mette a rischio la tenuta del governo, imponendo così sulla testa dei giudici un’assunzione di responsabilità politica che non spetta loro, con una confusione di competenze di cui peraltro Berlusconi li ha sempre accusati. All’attacco la solita Santanché, che prova ad essere minacciosa: «Qui si tratta di 10 milioni di italiani che in caso di condanna di Berlusconi rischiano di non avere più rappresentanza politica», come se fosse colpa dei giudici se questi milioni di italiani hanno dato il loro voto a un inquisito. Certo è vero che la questione riguarda anche il Pd, debole nella sua posizione di alleato del nemico, di cui pare non poter fare a meno. La domanda mantra di questi giorni è: la sentenza della Cassazione avrà ripercussioni sul governo Letta? Sebbene quest’ultimo smentisca può darsi che un’eventuale condanna segni anche l’esecutivo ma è paradossale e scorretto che una sentenza venga considerata per quello che comporterà e non per il suo contenuto. E poi a dirla tutta nessuno si chiede se Berlusconi sia davvero colpevole: ognuno ha già chiara la sua posizione, senza contare che pendono su di lui talmente tante accuse, che l’elettorato gli ha allegramente perdonato se non ignorato, che la sentenza in sé in realtà non interessa un granché.

Il verdetto dovrebbe essere pronunciato giovedì; intanto i bookmaker puntano sull’assoluzione di Berlusconi, data a 1.25. La Cassazione potrebbe decretare la conferma della condanna, l’annullamento radicale o l’annullamento parziale, con rinvio a settembre a un nuovo processo d’appello. Un pugno d’ore e il responso sarà servito.

di Francesca De Leonardis

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