Madaya: cronaca di una strage mediatica
Durante il luglio del 2015 le truppe dell’esercito siriano e le milizie di Hezbollah fecero partire un’offensiva contro il villaggio di Al-Zabadani, situato 45 km a nord-ovest di Damasco. La cittadina veniva sfruttata come roccaforte da parte dei ribelli anti governativi, un insieme di mercenari (secondo numerose fonti non esclusivamente di nazionalità Siriana) appartenenti a più fazioni, che secondo vari analisti in Siria ammonterebbero addirittura ad 80 diversi gruppi armati. Nella fattispecie Al-Zabadani era ostaggio, insieme a tutta l’area circostante, di Al-Nusra, Ahrar Ash-Sham, Free Syrian Army e di Islamic Front, ospitando così al suo interno circa 1500 terroristi. L’obiettivo di queste milizie era quello di creare una zona di rottura tra il governo di Damasco e il vicino Libano (Zabadani è a circa 10 km dal confine), isolando così Assad dai rifornimenti bellici ed economici di Hezbollah (corpo armato Libanese).
L’assedio dura due mesi. Al 25 luglio, secondo il Telegraph, le forze ribelli ammontavano a circa 1200 unità, tutte costrette in un’area di soli tre chilometri quadrati. Si cominciò così a cercare un accordo che lasciasse soddisfatti entrambi i fronti: i ribelli chiedevano ai mediatori una via di fuga efficace e sicura da un luogo che, ormai, poteva considerarsi a tutti gli effetti una trappola per topi; gli stessi offrivano in cambio la liberazione di circa 30000 civili a Kafraya e Al-fu’ah, villaggi situati nella regione di Idlib (sotto il controllo delle forze ribelli) che vivono la stessa situazione di Zabadani (e tutt’oggi la vivono), ma a parti invertite.
Dopo vari tentativi falliti, si raggiunse un accordo quando ormai i terroristi furono costretti in un’area di circa un chilometro quadrato all’interno del centro città: il 24 settembre l’ONU annunciò la fine delle trattative grazie alla mediazione di Iran e Turchia, le quali parteciparono ai lavori diplomatici rispettivamente per Assad e per i ribelli. Fu stabilito un piano di evacuazione dei terroristi da Zabadani verso la regione di Idlib (da loro controllata) e di 10000 civili dai villaggi di Kafraya e Al-Fu’ah (due villaggi nel nord della Siria, nella regione di Idlib). Secondo quanto riportato da Al Masdar news, il 26 settembre furono fatti partire i primi pullman governativi da Al Zabadani per portare i ribelli fuori dalla regione e spedirli a nord.
Il dramma della guerra civile Siriana è proprio questo: innumerevoli fazioni (cui oltre quelle già citate nel testo, vanno aggiunte anche i curdi nel nord del paese e lo stato islamico) si contendono porzioni di territorio usando i civili dei villaggi in cui si insediano, come scudo umano. Le porte dei villaggi si chiudono, la fazione di turno si posiziona nel centro cittadino fortificando i confini e, come nel caso di Zabadani, dando vita a una rete di tunnel sotterranei per procurarsi beni di prima necessità nei mesi che verranno. Alla fine chi avrà più terreno sotto il proprio controllo, la farà padrone nelle trattative future, tese a stabilire il destino della Siria dal punto di vista politico.
Stando a quanto riportato da molteplici fonti, è questo ciò che sta accadendo a Madaya da alcuni mesi a questa parte. Anche questo villaggio, situato pochi chilometri a sud di Zabadani, è sotto l’assedio delle forze lealiste, mentre al suo interno resistono Al Nusra e altre milizie jihadiste come Ahrar ash-Sham. Molti sostengono che i ribelli superstiti di Zabadani si siano insediati a Madaya. Stavolta però un piccolo centro di 20000 anime come questo è riuscito ad attrarre un’attenzione mediatica di proporzioni enormi: perchè?
Nei primi giorni del 2016 tutti i mezzi d’informazione si sono dati alacremente da fare per descrivere le sofferenze della piccola cittadina situata tra le montagne del Qalamoun. “La Repubblica” descrive una città senza vie d’uscita, ricoperta ai confini di mine anti-uomo, una città dove il pane viene venduto a cifre spropositate.
Non viene però spiegato chi sia effettivamente a vendere il pane a quei prezzi, dato che, all’interno del villaggio, a comandare sono i terroristi di Al Nusra e altri gruppi armati. L’articolo afferma inoltre che il governo ha sempre osteggiato l’arrivo in città di aiuti umanitari, andando contro le richieste stesse dell’ONU. Dando un’occhiata alle fonti ufficiali emergono però chiare incongruenze su quanto i mezzi stampa occidentali hanno riportato tra il 6 e l’8 gennaio. Risalgono al 7 gennaio scorso le dichiarazioni alla tv libanese “Al manar” di Pawel Krzysiek, portavoce della comunità internazionale della croce rossa in Siria, riguardo la fuga di notizie partita da Madaya, Zabadani, Kafraya e da Al-fu’ah: «Il comitato internazionale della croce rossa non può confermare le notizie che sono state pubblicate sui social media o riportate sui media tradizionali». Ha poi aggiunto che «per la ICRC ogni informazione riguardante civili in condizioni di sofferenza, indifferentemente da quale villaggio arrivino queste notizie, vanno prese molto seriamente. Non possiamo confermare la veridicità delle foto che giungono dai social». Molto più interessante è quanto lo stesso Krzysiek afferma a proposito di aiuti umanitari, a detta dei nostri media, crudelmente negati dal governo siriano negli ultimi mesi: «L’ultimo convoglio di aiuti umanitari che ha raggiunto sia Madaya e Zabadani che Al-fu’ah e Kefraya nella provincia di Idlib risale a metà ottobre (il 18 ottobre del 2015, n.d.r.). Fummo in grado di portare nelle quattro città assediate medicinali e insieme ai principali attori umanitari in Siria, come l’ONU, anche aiuti alimentari e non». Fu addirittura Reuters a confermare ciò e a ribadirlo il 7 gennaio scorso, mentre tutta la comunità internazionale esprimeva il suo profondo dissenso.
Le dichiarazioni di una donna a Russia Today non lasciano equivoci; «Non abbiamo potuto prendere nulla, i prezzi erano troppo alti: un chilo di riso stava a 250 $. Di certo il blocco agli aiuti era nell’interesse di questi venditori, non del governo. Loro ci hanno mandato aiuti, ma non li abbiamo mai ricevuti». L’immagine ripresa da Repubblica, nella quale un gruppo di uomini (presumibilmente ribelli anti-governativi) non certo straziati dalla fame chiede aiuto al Papa, fa riflettere.
A queste prove si aggiunge il disperato appello di Bashar Jaafari (rappresentante siriano presso la sede delle Nazioni Unite) al consiglio di sicurezza dell’ONU: «Ci piacerebbe evidenziare come gli aiuti umanitari inviati dal governo a metà ottobre, il 25 di questo mese, fossero sufficienti per più di due mesi. Questa testimonianza è stata confermata dal rappresentante di ICRC in Siria qualche giorno fa (Pawel Krzysiek, n.d.r.). Non c’è alcuna carenza di aiuti a Madaya». Poi partono le accuse: «Vogliamo aggiungere che molti degli aiuti umanitari sono stati razziati in numerose occasioni dai gruppi terroristici armati a Madaya e Zabadani […] le informazioni su aiuti umanitari a Madaya sono basate su fonti false». In particolare Jaafari durante il suo intervento se la prende con BBC e Al-Jaazera, ree secondo lo stesso di aver dato il là alla circolazione di notizie ed immagini false.
Ed infatti vi è stato un vero e proprio bombardamento di fotografie in questi giorni: tutte immagini lanciate da Al-Jaazera e riprese da network occidentali. Moltissime sono state smentite come è facile constatare qui. In particolare i mezzi d’informazione sauditi (ostili al regime di Assad) hanno fatto leva sulle coscienze occidentali sfruttando l’immagine della trasformazione dovuta alla fame di una bellissima bambina. Ebbene anche questo scatto è stata introdotto ad arte come dimostra la video-testimonianza della diretta interessata, al sicuro con la famiglia nel suo villaggio nel sud del Libano.
Nelle ultime settimane il governo Siriano ha autorizzato (ma come abbiamo visto l’ha fatto anche in precedenza) l’accesso di numerosi camion carichi di medicinali, alimenti e beni di prima necessità nelle città di Madaya e Zabadani. Gli aiuti continuano ad arrivare in questi villaggi ma, a dispetto della sofferenza dei civili, i media continuano a manipolare le informazioni, consci che esiste differenza tra la verità e l’opinione pubblica. Il fatto che a Madaya ci siano persone che stanno morendo di fame è una notizia. Ma ogni volta che c’è una notizia occorre porsi alcune domande prima di diffonderla con le proprie chiavi di lettura.