La bolla immobiliare e la crisi che verrà

L’Italia va incontro a un nuovo tracollo bancario innescato da una grande crisi immobiliare? Le voci in tal senso si intensificano dopo che per molti mesi l’ipotesi era stata paventata soltanto da pochi blogger economici indipendenti ai quali, più di recente, si sono aggiunti alcuni economisti accademici come Alberto Bagnai dell’Università di Pescara.

Il primo dato preoccupante è quello sulle compravendite, disastroso nel 2012 e giù di un ulteriore 13% nei primi sei mesi del 2013, tanto da descrive un mercato praticamente paralizzato da quasi due anni. Perfino gli operatori del settore, contro le proprie abitudini, tramite le associazioni di categoria ammettono  che in Italia si è  costruito tanto e i prezzi sono stati a lungo troppo alti. Sul lato della domanda l’incertezza generale del quadro economico e la diminuzione del reddito disponibile dovuta alla recessione hanno ridotto drasticamente gli acquisti di immobili da parte di chi ancora forse potrebbe permetterselo, mentre le banche non rilasciano più mutui rendendo sempre più difficile l’accesso alla prima casa per le giovani coppie e per chiunque non disponga di ampia liquidità o di redditi alti da lavoro non precario.

Sul lato dell’offerta il numero crescente delle famiglie in difficoltà, dove spesso uno dei coniugi ha perso il posto di lavoro, sta rendendo non rimborsabili molti mutui contratti nei due ultimi decenni. Inoltre, la tempesta di fallimenti nella PMI italiana, nove addetti in media e struttura tipicamente a conduzione famigliare, fa sì che la vendita delle seconde e terze case dei piccoli imprenditori (proprietà accumulate come patrimonio personale negli ormai lontani anni di vacche grasse) costituisca l’ultima riserva di liquidità in una fase di sofferenza economica e sostanziale Credit Crunch. A questi due fattori che rischiano di far rientrare in possesso delle banche migliaia di case ormai invendibili ai prezzi cui furono acquistate, si aggiunge l’aumento della tassazione sugli immobili introdotta dal governo Monti e mitigata finora soltanto a parole dall’attuale esecutivo.

Cubature eccessive, prezzi gonfiati, pochissimi compratori e molti costretti a vendere per necessità, immobili deprezzati che rientrano nella disponibilità (illiquida) del sistema bancario: il quadro da manuale per una bolla immobiliare sul punto di esplodere. In questa situazione la teoria economica prevedrebbe un crollo drastico dei prezzi, una tempesta perfetta. I prezzi effettivamente decrescono da sei trimestri consecutivi, eppure ancora non precipitano sostenuti artificialmente da coloro che hanno maggiormente da perdere dall’esplosione della bolla: quelle stesse banche che dovrebbero mettere a bilancio asset immobiliari deprezzati non più in grado di coprire l’esposizione finanziaria complessiva.

Quando nel 2008 negli Stati Uniti fallirono Lemhan e centinaia di altre banche minori e in Europa non venivano risparmiati colossi come Dexia (franco/belga), Nothern Rock (britannica) e Hypo Re (tedesca), si diceva che le banche italiane avessero retto meglio in virtù della minore internazionalizzazione (“non parlano inglese”, disse qualcuno) e della scarsa tendenza a investire in derivati, CDS e cartolarizzazioni. Tutto vero: in Italia le banche investivano prevalentemente sul mattone. Forse è questo lo shock finanziario sul quale nell’ultimo mese e mezzo si sono susseguite dichiarazioni più o meno criptiche provenienti da ambienti finanziari, politici e istituzionali: dal catastrofico report “sfuggito” a Mediobanca, alle dichiarazioni di Zanonato, fino alla recente apocalittica intervista rilasciata da Gianroberto Casaleggio.

di Daniele Trovato

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