Esonero Garcia: se un francese e un bostoniano si mettono a fare la gricia…

Con il comunicato dell’ AS Roma uscito verso le 12 si conclude ufficialmente l’avventura di Rudi Garcia sulla panchina della società giallorossa. Fatale una seconda parte di girone di andata disastroso che ha fatto scivolare la squadra al quinto posto ciancicata e ribaltata come una tartaruga in autostrada in una assolata giornata d’agosto dal sorpasso bianconero.

In fin dei conti la storia avrebbe ben poco da dire, un normale esonero che pone termine ad una unione oramai logora che non avrebbe portato da nessuna parte. Ma siamo a Roma, nella Roma americana e, come da oramai un po’ di tempo, tutto deve assumere i toni più svariati: dal giallo al comico, dal drammatico all’operetta. Storia gestita male ma d’altronde se un bostoniano e un francese si mettono in testa di preparare la gricia inveitabilmente alla fine si ritrovano con in mano delle uova. Il destino di Garcia era scritto eppure si è continuato ad indugiare in bilico tra l’attesa della goccia che facesse traboccare il vaso e la speranza di un prodigioso risveglio. Di risveglio nemmeno il barlume ed ecco allora che comincia serpeggiare l’ipotesi esonero, a valutare i candidati e nel frattempo la squadra continua a perdere punti. Poi, come se fosse vietato un cambio della guardia dopo una vittoria, Garcia mangia il panettone grazie allo striminzito successo sul Genoa. Per un eventuale nuovo tecnico sarebbe stata una manna dal cielo un periodo senza partite per cominciare a lavorare con il gruppo (lavorare altra parola chiave di questa storia). Invece no, società in stand by e altri 4 punti regalati al “nemico”. “Disgusted” che tradotto in italiano significa “me so’ rotto er ca…ora lo caccio”, così Pallotta da Boston commenta la goccia Milan. Da li i giochi sono fatti, come in tutte le società che si rispettino Spalletti vola a Miami per far ritorno il giorno dopo e con il jet lag sul groppone è pronto per la sua seconda avventura giallorossa, mentre Francesca “Anita Garibaldi” Brienza si gettava in pasto ai microfoni per un ultimo disperato tentativo di conservare la panchina del suo Rudi o almeno per impedirne una fine stile Eliogabalo.

Ma abbandonando i toni da operetta cosa si è effettivamente rotto tra il tecnico, la società e l’ambiente? Non c’è dubbio che i risultati abbiano avuto la meglio, risultati giunti a causa di un gioco approssimativo a tratti anonimo se non assente. Una squadra incapace di produrre più degli avversari: se si fanno 3 gol se ne prendono regolarmente altrettani, se non si concede un tiro ad Higuain l’area di rigore partenopea diventa un miraggio. Dove è finita la prima Roma di Garcia? Quella che difendeva la porta stile Alamo e assaliva gli avversari stile Fort Apache? E qui entra in ballo la società che come e forse più del tecnico transalpino ha la sue colpe. La cessione di Benatia, autentico pilastro della stagione d’esordio di Garcia, combinata alla sfortuna che incombe maligna su Strootman, hanno depredato il corredo genetico dell’ undici plasmato dal francese al suo arrivo a Trigoria. Una perdita di pedine fondamentali che se l’arrivo di Manolas ha parzialmente coperto, l’infortunio di Castan e il suo laboriosissimo recupero ha nuovamente proposto senza che nessuno prendesse adeguate contro misure. Definire le mosse di Sabatini quantomeno bislacche è poco, la voracità con cui l’esperto ds romanista si è accaparrato ogni esterno offensivo gli passasse vicino dimenticando gli altri ruoli è assurdo. Ecco che la Roma si ritrova a dover schierare Florenzi terzino e a passare regolarmente una bombola di ossigeno a Digne al decimo del secondo tempo. Spalletti pronti e via ha subito chiesto rinforzi in difesa: perchè Garcia non lo ha fatto o non è stato ascoltato? Eppure facendo cassa sono stati ceduti in estate Romagnoli e Mapou per il solo Rudiger, i conti non tornano. Ma non sono solo queste le incomprensioni tra tecnico e società. La preparazione atletica è stato un altro punto critico di attrito. Avvicendamento dei responsabili voluto direttamente della presidenza con il risultato di avere meno infortunati a fronte di una squadra che indubbiamente corre di meno. Qui entra in gioco il fattore lavoro come denunciato da Zeman qualche settimana fa. Si lavora poco a Trigoria ed alcuni giocatori, vedi Maicon e De Rossi, sono lontani anni luce da una parvenza di condizione atletica accettabile. Ora mischiando tutto questo in un calderone è stato scelto un unico responsabile e la pagliuzza corta è inevitabilmente toccata all’allenatore.

Dobbiamo però concludere con un doveroso saluto a Rudi Garcia. Lungi dal piangere per il suo esonero, il tifoso romanista non può dimenticare cosa ha significato Garcia per la Roma. Arrivato tra mille scetticismi in una Trigoria dilaniata dalla “coppa in faccia”, lontana dall’Europa da troppo tempo, si è rimboccato le maniche ed ha ricostruito una squadra soprattutto dal punto di vista caratteriale, un lavoro poi svanito nella notte di Roma-Bayern. “I derby non si giocano si vincono” e “Abbiamo riportato la chiesa al centro del villaggio” sono state le scintille che hanno trasmesso ad una tifoseria disamorata quella voglia rabbiosa che si respirava nello spogliatoio. Una ricostruzione sbalorditiva per una città come Roma in così poco tempo. Poi purtroppo Garcia è sprofondato nell’italianismo, accampando scuse alle sconfitte, cercando alibi non richiesti, combattendo battaglie inutili e controproducenti. Ma nonostante non mancherrano i taxi per portarlo a Fiumicino un doveroso ringraziamento è d’obbligo per chi comunque ha contribuito a far rialzare la testa ai giallorossi. Ora la patata bollente passa a Spalletti (l’unico dei papabili candidati ad esser ritenuto idoneo probabilmente per la pregressa conoscenza dell’ambiente) ma soprattutto alla società. L’alibi Garcia è crollato.