Caso Cucchi: vanto e divertimento per il pestaggio del geometra

Nuovo capitolo del caso Cucchi. “Volevo farmi del male, volevo vedere le facce di coloro che si sono vantati di aver pestato mio fratello, coloro che si sono divertiti a farlo. Le facce di coloro che lo hanno ucciso.” Lo sfogo, di Ilaria Cucchi fa da amara didascalia alla foto pubblicata sulla sua pagina social, di Francesco Tedesco, il carabiniere indagato nell’inchiesta bis sulla morte di Stefano Cucchi.

Sono trascorsi già 6 anni da quel terribile 15 ottobre 2009 che condusse il giovane Cucchi tra insulti, ematomi, menzogne, e pestaggi fantasma a perdere la vita, dopo pochi giorni dal suo arresto.
Stefano, sorpreso in flagranza di reato, venne fermato e posto in custodia cautelare per spaccio e detenzione di hashish e cocaina. Fino a qui nulla a dibattere, è il logico epilogo che dovrebbe appartenere a ciascun illecito, ma è quando la giustizia lascia il suo corso e degenera in delirio di prepotenza, che l’epilogo saluta la logica e diritto e ragione hanno le ore contate.

Stefano, al momento dell’arresto pesa 43 kg per 176 cm di altezza, e non riporta alcun trauma fisico, già il giorno successivo quando viene processato per direttissima, dalle varie testimonianze si evince che il ragazzo presenta ematomi agli occhi oltre notevoli difficoltà nel parlare e nel camminare, la custodia viene però confermata.

Le condizioni fisiche di Cucchi peggiorano, dal referto del Fatebenefratelli, si leggono ecchimosi e lesioni alle gambe, fratture alla mascella e al torace, un’emorragia alla vescica, viene richiesto il ricovero che non avviene. Deve passare ancora qualche giorno di martirio per rendere la degenza inevitabile, Stefano arriva al Pertini, dove muore “al peso” di 37 chilogrammi.

Le immagini da bollino rosso, del povero ragazzo, le conosciamo tutti, tredici le persone rinviate a giudizio tra medici e agenti di polizia penitenziaria, tanti i capi di imputazione, dal favoreggiamento, all’abuso d’ufficio, al falso ideologico, all’abbandono di incapace.
La sentenza di condanna in primo grado, viene ribaltata dalla Corte d’Assise d’Appello che assolve tutti gli imputati, nessuno è responsabile della morte del giovane, si ricorre in Cassazione che il 15 dicembre del 2015, annulla parzialmente la sentenza di appello e dispone un nuovo processo per alcuni dei medici assolti, parallelamente la Procura di Roma riapre il caso, ordinando nuove indagini per i carabinieri presenti al momento dell’identificazione del ragazzo e del suo “accompagnamento” in camera di sicurezza.
E’ proprio l’inchiesta interna a destabilizzare l’intera opinione pubblica, Claudio Marchiandi, dirigente dell’amministrazione penitenziaria è accusato di aver coperto i responsabili del pestaggio, chiedendo ai sanitari il ricovero del giovane nel reparto protetto dell’Ospedale Pertini.
Al vaglio nuovi elementi di un quadro probatorio sempre più inquietante: l’intercettazione dell’ex moglie di Raffale D’Alessandro, uno dei carabinieri coinvolti, dove invece di un mea culpa, spunta il vanto per il pestaggio; due nuovi testimoni in divisa che si slacciano dal connubio omertoso e dichiarano di aver sentito il Maresciallo Mandolini ex vice comandante della stazione di Tor Sapienza mentre confida al suo superiore il massacro dei colleghi al geometra e l’intenzione di non poterlo lasciare in cella. Le reazioni hanno dell’incredibile, in un audio pubblicato dal corriere.it, si ascolta un carabiniere che promette botte a Mandolini in caso di arresto, tante da farne le palle per ornamento di un albero di natale, oltre a un prossimo futuro come rapinatore di orafi e gioiellerie nell’eventualità di una sospensione dal servizio; anche l’avv. della famiglia Cucchi, Fabio Anselmo, già al fianco dei parenti di Giuseppe Uva e ribattezzato “difensore delle vittime dello stato”, ha denunciato di aver ricevuto segnali intimidatori per gli spari esplosi nella sua casa in campagna.

Ora le indagini sono tutte in mano al pm Giovanni Musarò, noto per la costante e coraggiosa lotta contro la mafia che avrà il compito di fare ufficialmente luce su questioni già piuttosto chiare.
Resta lo stupore di una morte, l’ennesima, avvenuta nel focolare di quei preposti alla giustizia, resta il dubbio sarcastico del perchè su un corpo esile, su un personaggio qualunque della bassa criminalità ci si scagli senza ragione alcuna, mentre su omoni pluripregiudicati si è accorti a non torcere anche un solo capello, resta l’amarezza per tutti coloro che in divisa svolgono con dedizione e legalità il loro lavoro ma pagano lo scotto di essere erba di quel fascio, assolutamente da estirpare.