Gli otto giorni di Fabio Fognini
Può capitare anche questo. Può capitare che un tennista già etichettato come eterno incompiuto vinca nel giro di otto giorni i primi due tornei Atp della sua carriera. E così che dallo status di promessa mancata questo tennista si ritrovi catapultato con tutti gli onori nell’esclusivo club dei top 20 del ranking mondiale.
Prima l’Atp 250 di Stoccarda, poi il plurisecolare “500” di Amburgo. Finalmente numeri, statistiche e trofei consacrano l’estro (con relative bizze) di Fabio Fognini. Ma sbaglia chi sostiene che il buon Fabio sia cambiato. In realtà il ligure non perde mai occasione per omaggiare l’abusato binomio che vuole il genio a braccetto con la sregolatezza. E l’ha dimostrato, forse nel migliore dei modi, nella finale di Amburgo, riacciuffata per i capelli dopo aver perso completamente la bussola per un warning incomprensibile (va detto) dell’arbitro di sedia. Semmai l’opera dell’acclamato coach Perlas sta nell’inedita capacità di Fabio di recuperare la concentrazione e di rimediare alle sue gustosissime (va detto anche questo) escandescenze. Perché se una cosa è certa, è che quando gioca il ligure ci si diverte, ci si dispera e si impreca. E poi, da qualche settimana, si esulta.
Tutti i colori dell’arcobaleno-Fognini possono essere apprezzati dallo spettatore che deciderà di rivedere la suddetta finale. L’avversario di turno è tale Federico Delbonis, 22enne di belle speranze arrivato in cima dritto dritto dalle qualificazioni. Uno scherzo, penserete voi. E invece no, perché l’argentino è un inno alla solidità: va sempre sul sicuro e non sbaglia una palla che sia una. A farne le spese anche un certo Federer (per la verità in versione giocatore di tamburello). E per un po’ rischia di lasciarci le penne anche Fabio, che nel primo set va più volte ad un soffio da break per poi ritrovarsi beffato sul 4-5.
Nel secondo set Fognini reagisce e strappa un break in apertura. Poi il deus-ex-machina: al ligure saltano le corde di ben tre racchette in tre game consecutivi. E come se non bastasse l’arbitro di sedia (di concerto col supervisor) gli appioppa un bel warning, presumibilmente per perdita di tempo. È la goccia: o, se preferite, assieme alle corde salta anche qualcos’altro. Il buon Fabio si rifiuta di giocare (o meglio, comincia a giocare con la rete) e regala tre game all’avversario. Quindi nuovo cambio di colore: reazione perentoria e dritti verso il tie-break. Delbonis si guadagna tre palle match ma le brucia, un po’ per paura di vincere, un po’ perché, comunque, la mano non ha propriamente la delicatezza del velluto.
Il 7-6(8) con cui Fognini si garantisce il terzo set è un sigillo sulla vittoria finale. Da qui il ligure comincia il suo romantico crescendo lirico, fatto di vincenti al fulmicotone e di passanti disegnati col goniometro. Il tutto facilitato da un Delbonis in debito d’ossigeno (diamine, è all’ottava partita in nove giorni). L’argentino perde confidenza con la geometria e Fognini sale sul 3-0. Sul 5-1 perde uno dei due break, ma è solo una pausa di riflessione. Quindi il gran finale: 4-6, 7-6, 6-2. Faticosissimo da vedere (figuriamoci da giocare). Ma abbiamo un campione.