USA: sei gay e vuoi donare il sangue? Solo se non fai sesso
Dopo trent’anni, finalmente gli Stati Uniti hanno abolito la direttiva che escludeva omosessuali dalla lista dei potenziali donatori di sangue. Evviva, evviva. A ben guardare, però, viene da chiedersi se sia una vera rivoluzione come l’hanno presentata i giornali.
Certo, la soppressione del divieto è una grande notizia. Ma. C’è un ma. Anzi, ce ne sono tanti. Basterebbe guardare proprio la sfilza di “ma”, “però” e avversative varie che seguono la notizia per rendersi conto che c’è una bella differenza tra cancellare una legge assurda e rendere i cittadini omosessuali uguali agli altri. L’eliminazione del divieto, infatti, è molto più formale che sostanziale. Sì, perché gli omosessuali americani potranno donare il sangue a condizione di essere casti per un anno. Esatto, la donazione è subordinata all’astensione dai rapporti sessuali per almeno dodici mesi. Un obbligo che non esiste per eterosessuali o lesbiche, ma che riguarda solo i rapporti tra uomini e che, secondo Peter Marks, vicepresidente della Food and Drug Administration, «è supportato dalle migliori evidenze scientifiche».
Nessuno sembra trovare la norma fortemente discriminatoria. Quotidiani e commentatori festeggiano – giustamente – la revoca del bando a vita, ma sembrano sottovalutare la portata discriminatoria del nuovo regolamento. Per il Corriere “resta solo il limite di un anno di astinenza per gay e omosessuali (sì, “gay e omosessuali”), Repubblica lancia la notizia sulla pagina Facebook commentando «Unico pre-requisito l’astinenza sessuale per 12 mesi» e, più in generale, i giornalisti si limitano a far notare come le associazioni omosessuali si siano schierate contro la norma «ridicola e contraria alla salute pubblica». Eppure, non solo la nuova direttiva della FDA conferma una discriminazione antica che vede nell’AIDS la “malattia dei gay”, ma è potenzialmente pericolosa.
La vecchia direttiva era nata nel 1983, quando ancora l’immunodeficienza acquisita era ritenuta una malattia strettamente correlata all’omosessualità: nelle prime fasi di studio, addirittura, era stata chiamata semplicemente GRID, Gay Related Immue Deficiency. Escludere oggi dalla donazione gli omosessuali che abbiano avuto rapporti sessuali nell’anno precedente perpetua l’idea – sbagliata – che esistano categorie a rischio e non, invece, comportamenti a rischio, che possono esporre ciascuno di noi al virus. Pensare che un determinato target di persone abbia una naturale predisposizione alla malattia rischia di far sottovalutare i rischi per tutti gli altri. Ha senso che un omosessuale che vive una relazione monogama non possa donare il sangue mentre un eterosessuale che ha centinaia di rapporti promiscui possa? Giustificare la norma – come fanno alcuni – con il fatto che un analogo divieto sia presente anche altre legislazioni – tra cui quelle di alcuni Paesi europei come Francia e Gran Bretagna – non ha alcun senso. Secondo questa logica, l’Italia dovrebbe avere il matrimonio egualitario chissà da quanto. E invece.
Per una volta, dovremmo guardare proprio alla legislazione italiana che, stranamente, ha eliminato da quasi quindici anni l’elemento discriminatorio contenuto nella legge nata negli anni ’80 sull’onda della psicosi del “morbo dei gay”. Se, infatti, il decreto varato nel 1988 identificava tra le «categorie a rischio» escluse dalla donazione i «soggetti di sesso maschile a comportamento omosessuale», i Protocolli per l’accertamento dell’idoneità del donatore di sangue e di emocomponenti, del 26 gennaio 2001 escludono, più correttamente, i soggetti con «comportamenti sessuali ad alto rischio di trasmissione di malattie infettive», siano essi uomini o donne, omosessuali o eterosessuali.