L’UE rinnova le sanzioni alla Russia

È notizia di ieri il rinnovo delle sanzioni alla Russia da parte dell’Unione Europea: attraverso un comunicato stampa del consiglio, è arrivata l’ufficialità formale della proroga di tali misure fino al 31 luglio del prossimo anno. Tali provvedimenti furono presi per la prima volta nel luglio del 2014 (in conseguenza del dispiegamento di forze militari russe in Crimea), con scadenza fissata per l’anno successivo, salvo poi essere rinnovati fino al 31 gennaio del 2016, per poi giungere al rinvio più recente.
Secondo un accordo raggiunto dal Consiglio Europeo nel marzo del 2015, il termine conclusivo delle sanzioni fissato al 31 gennaio del prossimo anno sarebbe stato «strettamente legato ad una completa attuazione degli accordi di Minsk entro il 2016». Il protocollo di Minsk (sottoscritto da Russia, repubbliche autonome di Lubansk e Donetsk e Ucraina il 5 settembre del 2014) prevedeva tra i propri punti salienti un cessate il fuoco bilaterale immediato (ribadito da successivi memorandum del trattato, ma mai rispettato dalle parti in gioco) e una zona cuscinetto, libera da qualsiasi tipo di armamento, tra le parti in conflitto.

 

La questione se tali sanzioni siano giustificabili o meno è densa e complicata, ricca di nodi davvero difficili da sciogliere. Più accessibile è invece un’analisi incentrata esclusivamente sulle misure in questione, riguardante il loro regime giuridico, ma soprattutto gli effetti che ne scaturiscono.

 

Come vengono adottate.
Queste sanzioni rientrano nel piano della politica estera e di sicurezza comune dell’Unione (PESC), di cui oggi la nostra Federica Mogherini è alta rappresentante. La maggior parte degli atti (che si dividono in azioni comuni o posizioni comuni) legati a questo programma devono essere adottati all’unanimità dai membri del Consiglio Europeo. All’interno di questa disciplina generale viene oculatamente operata una distinzione tra materie di minore rilevanza (genus che racchiude sanzioni quali embargo di armi e divieti di transito) e materie finanziarie (centro gravitazionale delle politiche UE): le prime, dopo la preliminare adozione di politiche di cui sopra in seno al Consiglio, vengono poi dotate di efficacia tramite le scelte legislative dei singoli Stati membri (che ovviamente devono ricalcare il percorso tracciato dall’UE); le misure economiche invece (quali il congelamento degli assets e il divieto all’export) traggono efficacia legale grazie alla diretta competenza dell’Unione Europea, ovvero tramite una proposta congiunta di regolamentazione base dell’alto rappresentante della politica estera (la Mogherini appunto) e della Commissione, cui deve far seguito la solita votazione all’unanimità del Consiglio.

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Cosa si intende per “sanzione”.

L’UE ci tiene a sottolineate che le sanzioni non corrispondo a “misure punitive” ma sono esclusivamente «tese a portare un cambiamento nella politica o nelle attività dello stato, entità o individui bersaglio». Allo stesso tempo Bruxelles sottolinea il suo impegno «nel minimizzare conseguenze avverse per la popolazione civile o per le attività lecite». Nel merito quando si parla di sanzioni si fa riferimento ad embargo di armi, congelamento di assets finanziari (ovvero sospensione con i paesi target, della compravendita e dello scambio di titoli azionari, quote, assegni, fondi di ogni tipo, depositi bancari ecc…) divieto di export e infine al divieto di rilascio visti e circolazione.

 

A chi sono state applicate.

Le misure sugli assets e sul divieto di transito sono state disposte per una lista di 149 soggetti, quali vari esponenti politici del governo e della federazione russa, membri della Repubblica di Crimea (disconosciuta e dichiarata illegale dal mondo occidentale) e membri delle repubbliche di Lugansk e Donetsk. A questi sono da aggiungere 37 persone giuridiche, ovvero tutte le Repubbliche su citate, imprese strategiche proclamate proprietà dello Stato federale Novarussia (nata dall’unione delle repubbliche di Lugansk e Donetsk), organizzazioni militari e paramilitari in contrasto all’Ucraina e infine varie organizzazioni no profit per l’indipendenza della Crimea.
Altre misure restrittive (per lo più economiche) sono state poi adottate contro la Crimea stessa e Sebastopoli: vietato l’export su prodotti che non siano certificati dall’Ucraina e vietati investimenti Europei di ogni tipo in tutto il territorio.
Ma sono stati i provvedimenti contro la Russia quelli ad aver suscitato più scalpore: divieto per gli Stati e le compagnie Europee di acquistare obbligazioni con scadenza superiore ai trenta giorni emesse da istituzioni Russe e proibizionismo sull’export di attrezzature o prodotti civili dal possibile scopo militare (i cosiddetti dual-use goods, quelli proibiti sono accuratamente elencati in questa lista).

 

Come ha risposto la Russia.

Da parte sua il Cremlino ha risposto alle sanzioni UE con un blocco commerciale non superiore ai 12 mesi (fissato con un decreto del 2014 e ad oggi prorogato fino al 5 agosto del prossimo anno) per prodotti provenienti dall’industria agroalimentare e del pellame di USA, Unione europea, Canada e Norvegia. Sono state inoltre adottate misure che impongono il divieto, in materia di appalti pubblici, all’acquisto di veicoli, dispositivi medici e pelletteria che non siano di produzione russa. Un’analisi del 2014 sull’interscambio commerciale Italo-Russo a cura dell’ICE (l’agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane) riportava, grazie ai dati forniti dall’ISTAT e da dogane russe, un valore al 2013, nei rapporti tra Italia e Russia, pari a 26,4 miliardi di euro. In particolare il settore agroalimentare italiano beneficiava di esportazioni in Russia per un valore stimato pari a 1.072 miliardi di euro. A causa delle restrizioni russe, nel solo 2014 è stata registrata una perdita nel settore pari a circa 100 milioni di Euro, perdita che secondo le previsioni di ICE Russia potrebbe ammontare a 250 milioni nel 2015.

Operando un confronto tra i due report si può benissimo cogliere il dato negativo della vicenda, aggravato dal fatto che i trend per le imprese italiane, precedenti al recente scambio di colpi a suon di sanzioni tra UE e Russia, erano straordinariamente positivi. In tutti i settori dell’export.