Macbeth, il capolavoro di Shakespeare torna al cinema
Presentato in anteprima alla 68ª edizione del Festival di Cannes, Macbeth arriverà nelle sale italiane il prossimo 5 gennaio. Il compito di dirigere un cast stellare, che annovera tra i protagonisti i premi oscar Michael Fassbender e Marion Cotillard, tocca al quasi sconosciuto Justin Kurzel: un background come scenografo teatrale e un AACTA Award per la regia del lungometraggio Snowtown. Kurzel non è il primo che si cimenta con il fascino della più famosa tragedia shakespeariana, già adattata in passato per mano di Orson Welles, Akira Kurosawa e Roman Polanski, solo per citarne alcuni. Emblema dell’avidità e della sete di potere, il dramma racconta l’ascesa e la rovinosa caduta del barone Macbeth. Sullo sfondo della Scozia del basso Medioevo, a quest’ultimo viene fatta un’incredibile profezia: è destinato a salire sul trono ed essere re. Lusingato dalla promessa di avere tutto, e spinto dal desiderio e dalle pressioni della propria consorte, Macbeth assassinerà il sovrano di Scozia, e creduto innocente nonostante i sospetti, gli succederà alla guida del regno.
La scommessa era grande, e la strada intrapresa è quella, coraggiosa, della fedeltà al testo e ai versi di Shakespeare; tanto che il Macbeth di Kurzel sembra voler portare il teatro al cinema, soprattutto per quanto riguarda l’aspetto recitativo. Famosi per essere tra i ruoli più difficili e complessi, i due protagonisti della tragedia vengono magistralmente interpretati dalla coppia Fassbender-Cotillard. Un plauso va soprattutto alla lady Macbeth di quest’ultima, che da prova di un inglese impeccabile, nonostante la difficoltà di recitare in una lingua che non è la propria. Per la maggior parte del tempo, il ritmo e il linguaggio della rappresentazione teatrale guidano la regia di Kurzel, con poche eccezioni: l’impiego diffuso dell’effetto rallenty nelle sequenze di battaglia e una fotografia a tratti visionaria. Le scelte stilistiche rendono il film un prodotto adeguato ai festival, comunque non destinato a incontrare i favori di un pubblico di massa. E se l’integrità del testo è salva, si indulge forse troppo in un eccessivo timore reverenziale nei confronti dell’opera originale, con un risultato finale poco convincente.
Lode alle buone intenzioni; ma la narrazione sembra fare affidamento esclusivo su un forte simbolismo didascalico: la fotografia rosso sangue di Adam Arkapaw (True Detective) fa già da preludio all’epilogo, mentre la nebbia che avvolge i personaggi, restituendo solo profili di ombre, rende visivamente i temi shakespeariani dell’illusorietà del potere e dell’esistenza. Con non pochi elementi a favore, dispiace soprattutto la mancanza di un vero coinvolgimento emotivo, peccato grave per l’adattamento di una tragedia che narra delle ombre della mente e delle insidie del desiderio umano. Poche, le eccezioni; su tutte, la magnifica resa del monologo più celebre dell’opera, quello pronunciato sul letto di morte di lady Macbeth: «Spegniti, spegniti breve candela. La vita non è che un’ombra che cammina. Un povero attore che si agita e pavoneggia per un’ora sulla scena, e poi nessuno più l’ascolta. Un racconto narrato da un idiota, pieno di strepito e di furore, che non significa nulla.»