Una nuova coalizione anti-isis in chiave saudita?

Ha avuto luogo nella mattinata di martedì la conferenza stampa tenuta dal titolare del dicastero della difesa Saudita, Mohammed Bin Salman al Saud: il giovane rappresentante del governo di Riad, che riveste il ruolo grazie a diritti di sangue, ha annunciato la nascita di una coalizione anti-terrorismo di matrice islamica, che stando alle sue stesse dichiarazioni intenderebbe «combattere il terrorismo mediante l’uso di strumenti legali», puntualizzando poi che per esso non si intende soltanto l’ISIS, bensì: «tutti i gruppi terroristici che abbiamo di fronte».
La coalizione comprende al suo interno 34 Stati di fede islamica (rigorosamente sunnita) sparsi nel mondo, tra i quali figurano numerose nazioni Africane, le Comore, i Paesi del Golfo e altre nazioni Mediorientali. Lo stesso principe Mohammed ha annunciato che la coalizione in fieri vedrà sorgere il proprio centro operativo presso la stessa Riyad, capitale dello stato Saudita. Tra i governi partecipanti spicca l’assenza di quello Indonesiano, lo stato a maggioranza musulmana (sunnita) più popoloso del mondo, “giustificata” da un articolo dell’ Indipendent «dall’attuale detenzione, presso il braccio della morte Saudita, di più di 30 cameriere indonesiane». Mancano inoltre nel novero delle nazioni presenti Iran, Iraq e Siria. I primi due, in quanto sempre più vicini diplomaticamente, e data l’avversità nella regione tra i sauditi e Teheran, non potevano certamente risultare tra gli invitati. Abbastanza naturale l’esclusione di una Siria il cui governo, appoggiato dallo stesso Iran e dalla Russia, sta contrastando le forze dell’esercito libero Siriano (secondo molte fonti ormai da anni riconosciuto come un insieme di forze mercenarie e terroristiche al soldo di chi vuole destabilizzare la regione) piuttosto che lo stesso ISIS.

saudita
Tra le nazioni coinvolte l’unica appartenente all’alleanza atlantica (NATO) è la Turchia. In una dichiarazione rilasciata all’agenzia Anatolia, il capo del governo Ahmed Davutoglu ha statuito come «l’atteggiamento congiunto portato avanti dagli stati islamici contro il terrorismo costituisca la risposta più forte a chi cerca di identificare la religione islamica nel terrorismo». Parole che però cozzano con il report del governo russo, risalente alla settimana scorsa, nel quale è illustrato in maniera accuratamente dettagliata (grazie anche all’uso di immagini satellitari) il traffico di petrolio tra l’IS e lo Stato Turco.

 

Molte voci del mondo islamico hanno descritto la nascente coalizione come un mezzo di cooperazione internazionale teso ad un contrasto maggiormente efficace di quello che, stando alle parole in conferenza di Mohammed è «una malattia che infetta il mondo islamica prima ancora che la comunità internazionale». Cooperazione che non si priverebbe di un «coordinamento con le maggiori potenze sulla scena mondiale». Ma per l’ennesima volta ci si chiede, data l’assenza di protagonisti strategici dell’area quali Iran, Siria e Iraq, come si possa giungere ad una reale azione congiunta contro il terrorismo, dato che è in atto un vero e proprio conflitto tra Riyad e Teheran. Tutti Stati che dovrebbero condurre le altre forze minori ad un accordo degno di tale nome. Un accordo che riporti nella regione, quella stabilità che i popoli del Medioriente meritano.