Come abbiamo armato l’Isis. Sì, anche noi
Russia, Cina, Usa, Unione Europea, persino Stati che non esistono più come l’Urss e la Jugoslavia. Non manca nessuno nella lista degli oltre venticinque Paesi che hanno prodotto e venduto le armi che ora sono nelle mani dei miliziani dell’ Isis.
«Decenni di forniture mal regolamentate di armi all’Iraq e gli scarsi controlli sul terreno hanno messo a disposizione del gruppo armato che si è denominato “Stato islamico” un ampio e mortale arsenale, usato per compiere crimini di guerra e crimini contro l’umanità su scala massiccia nello stesso Iraq e in Siria». A dirlo è Amnesty International, nell’ultimo report “Taking Stock: The arming of Islamic State” (Fare scorta: come abbiamo armato lo Stato Islamico). Amnesty, con l’aiuto di un team di esperti, ha catalogato grazie a video e immagini dall’autenticità confermata oltre cento diversi tipi di armi e munizioni. AK47, M16 americani, CQ cinesi, Heckler & Koch G3 tedeschi e fucili belgi FN Herstal FAL. E ancora, Steyr austriaci e Dragunov SVD russi, mitragliatrici irachene e missili anticarro sovietici e jugoslavi.
Il rapporto di Amnesty, però, non si limita a inventariare l’arsenale di cui dispone l’esercito di Al-Baghdadi, ma traccia «la catena di rifornimento», il percorso delle armi dai Paesi che le hanno prodotte fino al Medio Oriente, individuando come l’ Isis sia riuscito a entrarne in possesso. «Una parte sostanziale dell’arsenale militare è composto da armi e attrezzature saccheggiate, catturate o illecitamente commercializzate dalle scorte militari irachene mal custodite». Armi che sono arrivate in Iraq a partire dagli anni Settanta e Ottanta grazie all’apporto di Usa e Urss, forniture che «sono state pagate col petrolio o sono state oggetto di accordi tra il Pentagono e la Difesa irachena o, ancora, frutto di donazioni da parte della Nato». È proprio su queste armi che si concentra il report, senza tuttavia tralasciare le armi «provenienti da altre fonti – tra cui la cattura o la vendita delle scorte militari siriane e le armi fornite a gruppi armati di opposizione in Siria da parte dei paesi come Turchia, Stati del Golfo e Stati Uniti».
La guerra tra Iraq e Iran, tra il 1980 e il 1988, ha rappresentato un momento strategico nella definizione del moderno mercato degli armamenti: in questo periodo, dice ancora il report, «almeno 34 Paesi fornirono armi all’Iraq, 28 dei quali anche all’Iran». Una fornitura che si è interrotta con l’embargo promosso dall’Onu nel 1990 ma che è ripresa a partire dal 2003, con l’intervento militare statunitense. Gli Stati Uniti, però, non sono i soli ad aver rifornito l’Iraq di armi. Sebbene solo nell’ultimo biennio il Pentagono abbia fatto investimenti per diversi milioni di dollari, secondo Amnesty negli ultimi dieci anni oltre trenta Paesi – tra cui «tutti i membri del consiglio di sicurezza» – hanno rifornito l’Iraq di armi. Armi che, in molti casi, sono finite nelle mani dell’ Isis. Come? «La maggior parte delle armi in possesso dello Stato islamico deriva dalla conquista dei depositi militari iracheni. Altre armi sono state prese sui campi di battaglia o attraverso commerci illeciti e defezioni di uomini armati in Iraq e in Siria». A queste devono essere aggiunte le armi che lo “Stato Islamico” – come altri gruppi armati – ha iniziato a produrre in proprio, tra cui bombe a grappolo e mine terrestri, entrambe proibite a livello internazionale.
Ad armare l’Isis è stato l’Occidente che ora tanto lo teme, la sua incapacità di gestire le conseguenze delle proprie azioni in uno scenario complesso. «La quantità e qualità delle armi nelle mani dello “Stato islamico” è la conseguenza di decenni di trasferimenti irresponsabili di armi all’Iraq e dei molteplici fallimenti nel gestire le importazioni di armi e introdurre meccanismi di monitoraggio, a partire dall’occupazione militare del 2003, per evitare che quel materiale finisse nelle mani sbagliate. La carenza di sorveglianza dei depositi militari e l’endemica corruzione mostrata dai vari governi iracheni hanno contribuito ad aggravare la situazione».
E l’Italia? Che ruolo ha il Belpaese in questo traffico irresponsabile che ha portato armi al “nemico dell’Occidente”? Un ruolo «non indifferente», dice ancora Amnesty nel comunicato di presentazione del report. Secondo fonti ufficiali Usa, l’Italia ha armato l’Iraq e – in maniera meno trasparente – l’Iran nel periodo 1980-88. Le responsabilità italiane, però, non si fermano al vecchio millennio: a partire dal 2003, nell’ambito della cosiddetta “guerra al terrore”, «la coalizione guidata dagli Usa firmò contratti per almeno un milione di dollari in ulteriori armi leggere e milioni di munizioni, provenienti anche dall’Italia». A fornire «l’ampio e mortale arsenale» con cui l’Isis sta facendo stragi e orrore, quindi, siamo stati (anche) noi.