Dopo l’Argentina anche il Venezuela precipita a destra
I dubbi sollevati solo poche settimane fa su una possibile deriva a destra del Venezuela in seguito alla vittoria dei conservatori in Argentina si sono rivelati fondati. Dopo diciannove elezioni vittoriose, la ventesima è una catastrofe per il chavismo.
Seppur i sondaggi internazionali avssero già annunciato una possibile vittoria delle destre alle elezioni Parlamentari tenutesi in Venezuela il 6 Dicembre, nessuno, nemmeno i conservatori più accaniti, aveva previsto l’entità della vittoria delle opposizioni al socialismo umanista chavista: il cartello dei 18 partiti delle destre, la Mesa de la Unidad Democratica (Mud) ha conquistato 112 deputati dell’Assemblea Nazionale, il 67%; mentre il Psuv (il partito del Presidente Maduro) ne ha 55, pari al 32,93%. In termini di voti il Psuv non perde troppo, totalizzando 5.599.025 milioni di voti, contro i 7.707.422 dei vincitori.
La sberla, come Maduro stesso l’ha definita, è arrivata fortissima e rischia di spaccare la mascella al Venezuela e a tutto ciò che il Paese ha incarnato in questi anni: la lotta per l’emancipazione e l’autodeterminazione solidale per il continente latinoamericano dopo decenni di dittature. A pesare non è tanto la sconfitta elettorale, ammessa e accettata da Maduro e dal Partito Socialista come parte della vita di un paese democratico – nessuno si è lamentato di brogli al Consiglio nazionale elettorale (Cne), che ha il compito di assicurare che le elezioni si svolgano in maniera legittima e trasparente, mentre in ogni occasione passata le opposizioni gridavano alla dittatura – ma la portata della vittoria del Mud. Superando i 111 deputati il cartello neoliberista ha la maggioranza dei due terzi in parlamento, in parole povere può fare quello che vuole: convocare una nuova Assemblea costituente, approvare leggi organiche, designare i rettori del Consiglio nazionale elettorale, rimuovere i magistrati del Tribunale supremo di giustizia. In solo due parole: abbattere il bolivarismo.
Le forze di sinistra venezuelane ne sono ben consapevoli, e si sono subito riunite in un congresso straordinario. A essere reclamate dai finanziatori occulti delle destre e dai poteri forti sono le teste delle riforme sociali, insieme a quella di Maduro e alle spoglie di Chavez. Le prime misure, secondo quanto già annunciato da Ramos Allup, segretario del partito antichavista Azione Democratica, sono già decise: rimozione delle principali cariche dello stato, espulsione dei giornalisti non graditi, abolizione delle riforme sul lavoro, ripristino del latifondo sia terriero che mediatico, abolizione della riforma sul prezzo giusto (una sorta di calmiere a beneficio delle classi meno abbienti), svendita degli idrocarburi (specie per non danneggiare le big nordamericane), fine del controllo dei cambi e della tradizione di pace delle Forze armate bolivariane inviandole in missioni all’estero. Dal cinque gennaio, giorno in cui si insedierà il nuovo parlamento, la battaglia si annuncia senza quartiere. «Con la costituzione in mano – ha commentato Maduro – difenderemo il nostro popolo. Non è tempo di piangere, ma di lottare. Consideriamo questa sconfitta come una sberla salutare per svegliarci. Un’occasione per riflettere sugli errori e per uscire dalle catacombe, come i cristiani dopo la morte di Gesù: e per costruire, uniti, nuove vittorie. Abbiamo perso una battaglia». «Por ahora», come disse Chavez preparando il suo ritorno.
Nota:
Il Venezuela è una Repubblica Presidenziale in cui il Presidente (Maduro per adesso), capo dello Stato e capo del governo, è eletto con elezione diretta e rimane in carica per sei anni.
Il Potere esecutivo è esercitato dal Presidente della Repubblica, dal vicepresidente e dai ministri.
Il Potere legislativo è esercitato dall’Asamblea Nacional de Venezuela, parlamento con 167 deputati.
Uno dei primi atti del parlamento sarà quindi probabilmente quello di promuovere il referendum revocatorio contro il Presidente Nicolas Maduro.