L’amore, la Roma e il liquore al caffè

Domeniche estive senza campionato. Sono quei momenti in cui gli appassionati del pallone, in preda ad una astinenza madida di pensieri, concentrano il proprio fancazzismo ripercorrendo mentalmente le tappe dell’anno passato elaborando fantasiose speranze per la prossima stagione. Questa operazione già avvilente di suo è ancora più angosciante quest’anno se tifi Roma

Una stagione iniziata con il sogno Zeman e terminata con l’incubo della consegna della Coppa Italia alla Lazio senza colpo ferire. L’inizio del campionato è lontano e i tifosi, quelli veri, si tengono a debita distanza dal calciomercato, un circo tra il comico ed il tragico messo in piedi per stampare giornali nei mesi senza partite. Ma il fine settimana scorre lento, c’è la magra consolazione dell’Italia alle 18 e noia ed impossibilità di andarsene al mare ti costringono a dare una letta a ciò che è stato detto e scritto in settimana. Fai una rapida rassegna stampa: “Nainggolan ecco l’offerta” come no tanto poi va all’Inter, “si è concretizzato l’interesse per Julio Cesar” ma tanto arriva l’Arsenal, le previsioni della permanenza di De Rossi sono più instabili di un bollettino meteorologico di aprile. Poi ti capita sotto mano un’intervista a Pallotta per “rimettere a posto le cose dopo le precedenti dichiarazioni”. Leggi con finto disinteresse. Solite banalità: grande acquisto, Totti per sempre, De Rossi rimarrà..ma se questo deve rifare la bocca ai tifosi che avrà detto in settimana? Cerchi su internet ed  eccola là…”Pallotta: anno frustrante”. Sapessi quanto lo è stato per me ti viene da pensare. Pallotta, Financial Times, hai come una premonizione, sai che leggere quell’intervista sarà come sedersi su un cactus. Ti guardi intorno indeciso sul da farsi e l’occhio scioccamente si posa sulla bottiglia di liquore al caffè, prodotto ufficiale AS Roma, che il malefico vicino laziale ti ha regalato il 27 maggio: “Caffè Gioia“. Il magnetismo animale scatenato dall’incrocio di sguardi tra te e la bottiglia non ti lascia scampo: il dado è tratto. La stappi, ti versi un bicchierino con una amarezza finora sconosciuta agli umani ed inizi la lettura. Lo pseudo Borghetti viene deglutito con più facilità delle parole dello pseudo presidente. Brand, ammontare di ego, business, sistema di gestione dei tifosi. Si vabbè ma vendiamo Pjanic? Chi arriva in porta? Osvaldo va all’Atletico? Poi la mazzata finale “Prima del nostro arrivo non c’era social media. Il precedente proprietario non ha fatto nulla, figuriamoci twitter e facebook”. Non ci credi, per sicurezza cerchi la versione originale in inglese. Ottieni solo una conferma. Tonfo sordo e brevi rimbalzi, ti sono proprio caduti per terra. Il “Caffè Gioia” si trasforma in un arbitro di pugilato e comincia a contarti mentre sei al tappeto. La bottiglia, e non è una questione di pessimismo, è mezza vuota ma i pensieri sono stranamente più lievi e chiari. Ti dici “pensa che fregnoni, ci abbracciavamo allo stadio mentre contendevamo un paio di scudetti all’Inter ignari che non potevamo twittare con la società o condividerne lo stato”.

Con la bocca allappata cerchi un chirurgo che possa asportarti la sigaretta dalle labbra sigillate, guardi la tessera che approfittando della tua “malattia” ti hanno costretto a “ricaricare” ad inizio maggio. Chissà se l’anno prossimo riusciranno nell’impresa di non farti rinnovare l’abbonamento. Si perché anche i cuori più puri smettono di palpitare, l’ amore può trasformarsi in rancore, la passione svilire nell’indifferenza. E questa non è una questione di brand.

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