Nowhere Boy: John Lennon l’ultimo immortale
Sembra ieri, eppure è trascorso molto tempo dal giorno in cui un ammiratore folle, tale Mark David Chapman, si avvicinò ad uno dei mostri sacri del rock, John Lennon, chiedendogli un autografo su Double Fantasy e uccidendolo poi con 5 colpi di pistola davanti al Dakota Building di New York. Era l’8 dicembre del 1980, sono passati 35 anni da quel tragico e insensato gesto che sconvolse non solo gli Stati Uniti e l’Europa, ma il mondo intero. Già, perché tutti lo amavano, i suoi testi univano i popoli in un canto corale, la sua musica avvolgeva le anime, le sue parole diventavano slogan generazionali. Era un urlo nella notte, condannava la guerra del Vietnam e, se fosse stato vivo ancora oggi, di certo avrebbe condannato le vostre guerre, le nostre guerre. Resta indimenticabile il “bed in” del 1969, quando lui e Yoko Ono decisero di utilizzare la loro luna di miele come un prisma, capace di irradiare un messaggio d’amore e di pace all’umanità.
Rai Movie ha celebrato l’anniversario della sua morte con Nowhere Boy, film del 2009, produzione britannica dell’allora esordiente regista Sam Taylor-Wood. Tutto inizia nel 1955 quando, nella fredda Liverpool, il quindicenne John Lennon (Aaron Johnson) inizia la sua carriera musicale, in un travagliato disagio esistenziale dovuto al pessimo rapporto con la famiglia. Dopo la separazione dei suoi genitori, all’età di 5 anni, sua madre Julia (Anne- Marie Duff) lo abbandona, e si occupa di lui sua zia Mimi (Kristin Scott Thomas). Queste due figure femminili si rivelano opposte tra loro: sua zia, rigida e dedita al rispetto delle regole, sua madre, invece, ribelle e dalla personalità rock’n’roll. La regista non si è soffermata molto sull’aspetto musicale, bensì sulla sofferenza esistenziale di Lennon. Una metamorfosi dolorosa, profonda, che lo ha segnato al di là dello spazio e del tempo, che ha varcato i confini del suo essere, fino a trasformarlo nel poeta, nel mito leggendario. Si incontra con Paul McCartney, orfano di madre, e nasce un fortissimo legame tra i due. Splendida la colonna sonora di sapore rockabilly e rock’n’roll: risuonano i classici intramontabili Love me tender, Blue Moon, Mother.
Gli omaggi alla sua memoria sono molti e diversi tra loro. Non tutti sanno che a Praga, ad esempio, si erge il John Lennon Wall, emblema della libera espressione contro ogni regime dittatoriale, muro che, verso la fine degli anni ’80, rischiò di essere cancellato per sempre, perché si sa, anche i muri parlano, a volte. Secondo alcuni, i suoi graffiti, che ritraggono il volto di Lennon, frasi e titoli delle sue canzoni, ispirarono la Rivoluzione di Velluto che portò alla caduta del comunismo in Cecoslovacchia nel 1989. I giovani writers furono etichettati come pazzi, anarchici, poiché cercavano la verità al di là delle colonne d’Ercole che, secondo i governanti, non avrebbero dovuto essere oltrepassate. Se il John Lennon Wall potesse parlare, direbbe che è stato infangato, ricoperto di calce e di bugie, insozzato dalla lordura di un’informazione repressiva, reso muto per far tacere l’umanità oltrecortina ma che, come nel mito prometeico, durante le buie notti del regime risorgeva riempiendosi nuovamente di graffiti, di parole, di significati, profumando di rivolta.
A Parigi, a poche ore dalla strage del 13 novembre, un pianista ha trascinato il suo pianoforte vicino al Bataclan, iniziando a suonare Imagine, imperituro inno dei popoli. Muoiono gli uomini, ma non le idee, quelle restano, e ci ricordano ogni giorno che passa chi siamo e da dove veniamo, che impronta vogliamo lasciare su questa Terra al nostro passaggio. Un monito contro la guerra a favore di un’unica razza e di una sola religione, quella degli Uomini.
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