Intervista a Yousry Nasrallah: la primavera araba in presa diretta

Yousry Nasrallah, regista egiziano in prima linea sulla scena cinematografica africana, è il primo a raccontare in un lungometraggio la recente rivoluzione egiziana che ha posto fine al regime di Moubarak.

La proiezione del suo After the Battle, in concorso a Cannes nel 2012, ha inaugurato il MedFilm Festival, svoltosi a Roma in questi giorni, in occasione del quale il regista è stato omaggiato di un prestigioso premio alla carriera. Nasrallah nasce come giornalista e esordisce alla regia con Summer Thefts, uno dei film che maggiormente ha contribuito alla rinascita del cinema egiziano in un panorama ormai spento. La sua filmografia si presenta come una finestra sull’anima autentica di una nazione. Popolando il suo cast di outsider che vivono ai margini della società, sospinge con immediatezza gli spettatori in profondità tra il tessuto popolare umanamente vibrante.

Attivo partecipe dei comitati rivoluzionari locali, nel febbraio 2011 ha catturato con una videocamera Sony le manifestazioni in Piazza Tahir. After the battle prende le mosse dalla cosiddetta Battaglia dei Cammelli, avvenuta al Cairo, in occasione della quale alcuni manifestanti pro-Moubarak si scaraventarono sui manifestanti cavalcando cammelli. Al centro del film l’ incontro tra due mondi apparentemente inconciliabili di idealismo e realtà: Mahmoud è un cavaliere che vive la sua quotidianità nello sforzo di sfamare i figli. Non ha il lusso di poter agire secondo alti ideali e accetta, tra illusorie promesse di guadagno, di scendere in piazza per difendere Mubarak. Reem, giovane pubblicitaria del Cairo, divorziata,rivoluzionaria e progressita, è mossa da grandi ideali di democrazia e uguaglianza sociale.  {asd1} Abbiamo incontrato Nasrhalla a Roma a poche ore dalla proiezione del suo film al MAXXI.

Mr. Nasrallah, perchè questo film?
Perché è tutto accaduto davvero, molto semplicemente. E’ un film su esseri umani che subiscono il cambiamento. Ho sentito l’urgenza di ribadire prima di ogni altra cosa il concetto di dignità umana. A dire il vero tutto parte da alcune testimonianze viste su Youtube: negli scontri della rivoluzione era evidente un intento mirato da parte dei fedeli di Moubarak di togliere dignità alle persone. Più precisamente agli strati meno consapevoli della popolazione. I rivoluzionari venivano ghettizzati con il pretesto di considerarli a priori poveri, analfabeti e stupidi e che quindi nulla potevano capire della società. L’unica cosa che potevano meritare era di essere combattuti, umiliati. Una vessazione che comprendeva anche i bambini a cui, appunto, ho voluto dedicare le prime sequenze del mio film. After the battle parte assolutamente dalla realtà: la rivoluzione è importante nel film, ma quello che soprattutto ho voluto sottolineare è come il periodo post-rivoluzionario abbia colpito tutti i cittadini, dalle classi più povere ai più benestanti. E’ il racconto di un uomo che cerca di salvare la propria dignità.

Quando ha deciso che tutto questo poteva prendere forma nel suo After the Battle?
Mi trovavo in Piazza Tahrir durante gli otto giorni di scontri e ho deciso di fare un film proprio per mostrare al mondo la battaglia dei cammelli. Non c’è stato alcun finanziamento da parte dello Stato, è un progetto finanziato totalmente in privato. Mi sono sentito coinvolto dagli eventi che si stavano verificando. Ho capito che l’uso che i media stavano facendo delle immagini della rivoluzione egiziana era esclusivamente al servizio della spettacolarità. Un’abitudine comunicativa che tende a porre un vero e proprio ostacolo contro la conoscenza reale delle cose. Filmare è stato, come sempre nel mio caso, frutto di una scelta morale. Ogni singola scena, in fondo, è una scelta morale: un primo piano è una scelta morale così come lo è ciò che invece va mantenuto fuori campo, tagliato. Il film non si basa su una sceneggiatura fissa, ma ripercorre giorno per giorno l’ Egitto durante il periodo transitorio, esplorando le prospettive e le aspirazioni della sua gioventù rivoluzionaria.

Lei ha iniziato la sua carriera come giornalista. Il suo film si pone come una combinazione di genere tra la fiction e il documentario. Quali film e registi sono stati modelli da seguire per la sua formazione e per il suo cinema?
Personalmente non faccio molte distinzioni tra finzione e documentario. Penso alla lezione del vostro Rossellini, amo il suo Stromboli, terra di Dio. Penso a Robert Bresson e a Buñuel. Probabilmente Europa ’51 è il film a cui ho pensato più spesso durante la lavorazione di After the Battle. Adoro anche Fassbinder e Kurosawa, il primo Kurosawa, quello in bianco e nero, e Kenji Mizoguchi. La condizione di prostrazione dell’Italia degli anni ’40 era la stessa dell’Egitto di oggi. E’ stato inevitabile, quindi, provare una sorta di immedesimazione per il cinema magico di esempio rosselliniano che, non a caso, è una delle cinematografie che più nello specifico ha influenzato il cinema dei paesi nordafricani.

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