Mosca accusa Erdogan e la sua famiglia di fare affari con l’Isis
La Russia non ritratta le accuse contro il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e la sua famiglia di essere coinvolto nel contrabbando di petrolio con i militanti dello Stato islamico. Dopo le accuse dei giorni scorsi arrivate proprio dal presidente Vladimir Putin secondo cui Erdogan e la sua famiglia farebbero affari con l’Isis, lo stesso presidente turco aveva risposto chiedendo di provare le accuse, dicendosi pronto a dimettersi laddove provate. Ora il ministero della Difesa di Mosca ha rincarato le dose. Il il vice ministro della Difesa Anatoly Antonov dichiara: “Presentiamo solo alcuni dei fatti che confermano che un team di banditi ed elite turche che rubano il petrolio dai loro vicini operano nella regione”.
Sono state diffuse, da Mosca, foto dei camion carichi di petrolio che attraversano la frontiera tra la Siria e la Turchia, video dei raid aerei contro i depositi dell’Is e mappe con i movimenti dettagliati del contrabbando. Tra le rotte principali, una occidentale che porta agli scali marittimi turchi sul Mediterraneo, una settentrionale che conduce alla raffineria di Patma, in territorio turco, e una orientale che porta a una grande base nella cittadina di Zhizdra. Stando a Serghiei Rudskoi, vice capo di Stato maggiore russo, parte del petrolio dell’Isis che arriva in Turchia è destinata al mercato interno e parte è venduta all’estero per la raffinazione. A riprova della vicinanza tra la Turchia e l’Isis ci sono, poi, i numeri dei combattenti che raggiungono le file dello Stato Islamico passando per il confine turco. Ha spiegato il capo del centro nazionale russo per la gestione della Difesa, Mikhail Mizintsev: “Secondo i nostri attendibili dati di ricognizione la parte turca svolge azioni simili da tempo e regolarmente e, cosa più importante a nostro avviso, non intende smettere (…) Solo nell’ultima settimana hanno raggiunto i gruppi dell’Isis e di al-Nusra, fino a 2.000 militanti, oltre 120 tonnellate di munizioni e circa 250 mezzi di trasporto”.
Mosca ha puntato il dito anche contro gli Stati Uniti e la coalizione internazionale che da mesi bombarda in Siria e in Iraq, colpevole di aver triplicato il numero di droni ma di non colpire le autocisterne e le infrastrutture dell’Isis in Siria per la produzione e il commercio del petrolio.
Rudskoi ha poi parlato sull’intervento militare russo in Siria, dove i raid aerei hanno dimezzato i proventi del traffico illegale di petrolio da parte dell’Isis. Secondo il vice capo di Stato maggiore, i profitti sarebbero scesi “nel giro di due mesi da tre milioni di dollari al giorno a 1,5. Negli ultimi due mesi – ha poi aggiunto – in seguito ai raid dell’aviazione russa sono stati distrutti 32 raffinerie di petrolio, 11 impianti petrolchimici, 23 complessi per il pompaggio del petrolio e 1.080 autocisterne”. Erdogan sembra voler smorzare le polemiche. «Nessuno ha il diritto di calunniare », ha dichiarato il presidente turco che si è detto anche pronto alle dimissioni nel caso in cui le accuse dovessero dimostrarsi vere. Erdogan ha poi anche ribadito di non voler un ulteriore peggioramento delle relazioni con Mosca.
Di fronte alle accuse mosse dalla Russia, con prove alla mano, che dimostrano il coinvolgimento di Erdogan e della sua famiglia di fare affari con l’Isis, gli Stati Uniti si schierano dalla parte della Turchia, Paese membro della Nato. Il Dipartimento di Stato Usa nega che ci sia qualunque tipo di legame che suggerisca un coinvolgimento della Turchia nei traffici sul contrabbando di petrolio con l’Isis. Ora bisogna capire come mai gli Stati Uniti, che si dichiarano il primo nemico contro il terrorismo e chi non concede la democrazia ai propri popoli, ora si schiera proprio dalla parte di chi, secondo alcune prove, farebbe affari con i terroristi e di democrazia ne dimostra ben poca. Che gli Stati Uniti abbiano usato sempre due pesi e due misure non è un fatto nuovo, ma ora forse sta commettendo dei gravi errori. In questa situazione chi rimane sempre assente è l’Unione europea, con la Mogherini sempre inesistente e con governi singoli sempre più in disaccordo tra di loro.