Portogallo: salpa il governo di sinistra di Costa

Dopo ben cinquantuno giorni di non governo, il Portogallo ha terminato improvvisamente il suo giro di boa: il 25 novembre il Presidente della Repubblica Aníbal Cavaco Silva ha nominato Antonio Costa primo ministro del Portogallo.

Questa decisione repentina da parte della presidenza ha spiazzato tutti, tanto che la maggior parte dei giornali si è rivelata piuttosto disattenta e la notizia ha avuto ben poca eco. Nulla però lasciava presagire che la crisi istituzionale si sarebbe risolta tanto tempestivamente, e da più parti si concretizzava il timore che la questione potesse essere rimandata sine die. Certo sarebbe stato unno smacco alla democrazia affatto indifferente.

 

I tentativi di sabotare l’intesa tra Partito Socialista, Bloqueo, Partito Comunista e Verdi si infatti sono susseguiti ininterrottamente fino a pochi giorni fa: la proposta di Passos Coelho di modificare la Costituzione in modo da permettere al Presidente della Repubblica di sciogliere la Camera (cosa che appunto non può fare poiché si trova nel semestre bianco, gli ultimi sei mesi di carica durante i quali non gli è concesso sciogliere l’Assembleia da Republica); le reiterate dichiarazioni del Presidente Aníbal Cavaco Silva sulla possibilità di un governo «di gestione», che lasciavano intendere il fatto che se il governo Coelho avesse continuato ancora un po’ a gestire la cosa pubblica nonostante la sfiducia non sarebbe stata una tragedia (forse si puntava alla Legge di Bilancio?); infine le consultazioni infinite, parti sociali, banche, economisti, analisti, partiti.

 

Niente insomma, fino al 23 novembre, lasciava presagire che il 24 novembre, in una nota piuttosto rancorosa, vista la rivendicata impossibilità di fare altrimenti, la Presidenza della Repubblica avrebbe affidato l’incarico a Costa e al suo governo di “minoranza”. Il nuovo esecutivo, targato Partido Socialista, Bloco de Esquerda, Partido Comunista Português e Partido Ecologista “Os Verdes”, ha quindi finalmente spiegato le vele, e la squadra di governo è stata presentata il 25 di novembre. A dire il vero, a chi aveva sperato in una netta inversione di tendenza rispetto all’Europa dell’austerity la composizione del governo (che come pattuito è formato solo da esponenti socialisti) è sembrata troppo moderata. Tra le figure da sorriso storto spicca quella del Ministro delle Finanze Mario Centeno, figura piuttosto nei ranghi della politica economica dominante nell’area della socialdemocrazia europea.

 

Tuttavia, se il governo si presenta moderato, il programma concordato con gli altri partiti di sinistra resta una bussola precisa, dalla quale tutti, tutti lo sanno, non sarà possibile virare particolarmente (pena sprofondare ancora una volta nel caos istituzionale, favorire le destre e mandare  a monte la ritrovata intesa tra le galassie della sinistra), e che prevede misure genuinamente di sinistra: rafforzare il potere di acquisto (aumento del salario minimo, delle pensioni e abolizione delle aliquote speciali del periodo “austeritario”); azione più decisa sul contrasto e la repressione delle violazioni relative al diritto del lavoro, reintroduzione delle 35 ore nella funzione pubblica, abolizione e/o riduzione dei ticket nel sistema sanitario nazionale; stop ai processi di privatizzazione, mantenimento dell’acqua pubblica e marcia indietro sulle privatizzazioni in atto, come la Tap, la compagnia area di bandiera.

Resta da capire se la nuova compagine di sinistra saprà tenere botta con l’Europa e resistere agli assalti dei moderati, tanto all’esterno quanto all’interno. E se almeno per una volta i patti saranno mantenuti, e non finirà come al solito, che i programmi passano, ma i governi restano.

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