Diritti di genitori negati: ma l’Italia dov’è?
<<Tutti gli esseri umani hanno diritti. Il diritto di dire ciò che pensano, di parlare la propria lingua, di credere al proprio Dio, di non venire torturati e trattati in modo disumano>>. Sono le prime parole scritte nella presentazione dell’Unicef in merito alla Convenzione sui diritti dell’Infanzia spiegata ai bambini.
Poi, su un binario parallelo corre la giurisdizione italiana, che regola il decorso di questi diritti attraverso quei principi imprescindibili che un genitore deve assumere a tutela della libertà e della felicità di un figlio. E in parallelo a questo mondo utopico corre un paradosso, uno tra tanti, che rappresenta una piaga sociale dilaniante: l’inadempienza di quei diritti, l’impossibilità dei minori a condurre una vita da bambini, e il gioco al massacro tra genitori che sguinzagliano avvocati, tribunali, giudici nell’inspiegabile corsa alla coercizione.
Negli ultimi 3 anni si è registrata una crescita della conflittualità familiare del 10% e i casi trattati di bambini con disturbi psichici e comportamentali sono circa 500 l’anno, e riconducibili tutti a storie di vita personali.
Quella di Marco, padre di un ragazzo di 13 anni, è una storia infinita. Lo incontro alla stazione di Bologna, e in un pomeriggio mi racconta la sua vita dal 2004 ad oggi, il suo calvario, mi propone insomma una storia surreale, e attraverso uno sguardo consapevole l’unico dettaglio che mi disarma è la voglia che ha ancora di sorridere.
Da nove anni, da quando la sua ex compagna decide di lasciarlo portando con se il figlio piccolo, la sua vita piomba in un incubo da cui non riesce ancora ad uscire. Mi fotografa istanti che per lui sono ancora palpabili, la separazione violenta, i viaggi per vedere il figlio che puntualmente non gli veniva consegnato nonostante i regolari permessi dei giudici, i microfoni nascosti tra gli indumenti del bambino nel tentativo di farlo capitolare, la pressione psicologica che lo ha messo alla prova anche in presenza del figlio.
Un bambino che sin dal primo decreto viene affidato agli assistenti sociali ma collocato presso la madre, decisione presa per impedimento di rapporto tra padre e figlio. E poi ancora l’inadempimento degli organi competenti, il malessere progressivo del bambino redatto nei vari ctu. Fino al silenzio: dal 2011 Marco perde progressivamente i contatti con il figlio per una richiesta di affidamento congiunto sfumata, e in attesa ancora di sentenza.
Dal 2004 ad oggi quali sono stati gli iter burocratici che hai seguito?
Tenendomi basso, tra Bologna e le Marche ho affrontato più di 80 udienze, ho incontrato i servizi sociali circa un centinaio di volte, incontri genitoriali, di mediazione, sono numeri infiniti. Potrei documentare di aver speso in giornate lavorative due anni buoni. Se non fossi stato un libero professionista, non avessi avuto una spinta interiore assidua e la possibilità economica di gestire tutto questo, non so davvero come avrei fatto. Ho trascorso i miei anni ad occuparmi solo di questo, nel tentativo costante di affermare il mio ruolo di padre. Ho avuto anche delle fortune, perché avevo delle zone di lavoro che si conciliavano abbastanza con tutti questi viaggi, anche se i ritmi mi hanno
portato alla distruzione fisica e mentale.
Secondo quali criteri gli organi competenti sono stati inadempienti?
A cominciare dai servizi sociali, che hanno sempre promesso e garantito la tutela del bambino, ma non hanno mai avuto il coraggio di agire fino in fondo. L’organo di Senigallia, comune di residenza della madre di mio figlio, mi riferiva talvolta la difficoltà nell’agire con più fermezza, mentre dall’altra parte, a Ponte Riu, mi è stata palesata a più battute l’incertezza e la paura nel prendere dei provvedimenti più seri. Ci sono delle scritture degli assistenti i quali hanno riportato la volontà di declinare l’incarico per mancata collaborazione della madre prima, e per non aver riscontrato alcuna situazione di benessere del bambino. Ci sono delle relazioni scritte del 2009 che recitano la necessità di trasferire il minore in una struttura, per trascorrere i pomeriggi fuori dal contesto familiare, e pareri medici che azzardano l’ipotesi di allontanamento dalla collocazione. Ci sono degli scritti che testimoniano la non idoneità della madre.
Però? Cosa accade?
Nel mio caso, il decorso giudiziario non ha voluto prendere seriamente in considerazione la situazione di pericolo in cui versa mio figlio, e mi piacerebbe saperne il motivo. I messaggi divulgati nei ctu durante questi anni sono piuttosto chiari, anche se spesso controversi, e non sono state seguite le indicazioni che sono state date. Le ammonizioni verbali non sono sufficienti, occorre agire per il benessere di mio figlio, che ad oggi manifesta dei disagi importanti.
Di che entità?
Disturbi comportamentali causati da un pressing psicologico importante contro di me. Quando mio figlio era più piccolo e meno plasmato raccontava il modo in cui gli veniva ordinato di comportarsi nei miei riguardi. Questo lo ha portato ad essere un ragazzo che ha degli atteggiamenti di onnipotenza, non essendo in grado di relazionarsi con la collettività, non accetta il confronto per paura di perdere, totalmente dipendente dal ragionamento di un genitore. Non è libero di pensare per sè, non esprime una sua individualità, e ad oggi presenta il rifiuto del padre.
Poi, nel 2010, viene proposta la richiesta di affidamento congiunto, ma accade qualcosa..
Si, per ostacolare questa eventualità, sono stato registrato in presenza di mio figlio in quel periodo in cui lui era già in grado di esprimere la sua personalità attraverso gli occhi della madre. L’intento era quello di dimostrare non solo la mia incompetenza genitoriale ma soprattutto l’inaffidabilità, la situazione di pericolo in cui mio figlio versava in mia presenza. A fronte di questo, dopo aver denunciato queste procedure sono ancora in attesa di sentenza.
E ad oggi? Cosa succede oggi?
Ho perso il rapporto che mi sono costruito con mio figlio negli anni, le grandi e piccole soddisfazioni che ho conquistato con sforzi disumani, i viaggi insieme, anche quelli sempre minati da telefonate di polizia e assistenti sociali su richiesta della madre. Non ho rapporti con lui dal 2011, da quando le discussioni si sono estremizzate e il ragazzo ha manifestato con più fermezza il rifiuto nei miei confronti. Ad un certo punto non riuscivo più a gestire i suoi comportamenti,il nostro rapporto. Ora non resta che attendere che la giustizia faccia il suo corso, perché nonostante tutto credo che sia ancora possibile.
di Nicoletta Renzetti