Muro del pianto: ebreo scambiato per un terrorista viene ucciso
È un simbolo di sopravvivenza, è ciò che rimane del Tempio, il luogo più sacro dell’ebraismo; in occidente lo conosciamo con una locuzione che poeticamente ne riassume l’essenza. È il muro del pianto, che nel giorno che apre le porte all’estate, è stato teatro di qualcosa di indicibile: un agente di sicurezza ha ucciso con diversi colpi di pistola un suo connazionale. Un ebreo ha ucciso un altro ebreo.
Tutti i giornali in rete hanno immediatamente diffuso la notizia, presentandola nelle vesti di una gelida e scarna cronaca; notizia che dopo poche ore con la stessa rapidità con cui era apparsa veniva risucchiata nel gorgo implacabile del mare mediatico. È bastato urlare in una lingua forse troppo ostile, ‘Allahu Akbar‘ (Dio è il più grande), per far cedere i nervi di chi avrebbe dovuto solamente intimare il silenzio, ricordando di rispettare la sacralità del luogo, che in quel momento, con una voce troppo scomposta si rischiava di profanare. Non c’è stato spazio nemmeno per un briciolo di razionalità; non l’ha trovato la mente così fragile dell’agente in servizio, sopraffatto, nella sua totale assenza di lucidità, da una paura che ormai domina l’animo di molti uomini israeliani, intrappolati nelle fitte maglie di un conflitto che sembra escludere qualsiasi istanza di pacificazione. Non si è confuso tra i mormorii della gente in preghiera il grido apparentemente immotivato della vittima, che in pochi istanti, avrebbe sentito sul suo corpo inerme, una scarica di proiettili che l’avrebbe ingiustamente lasciata a terra, esanime; «tutti lo conoscono», ha raccontato David Dahan «e conoscono il suo comportamento; ha spesso agito in maniera nervosa. Quello che è successo qui non è normale». Non lo è; normale, si intende. Perché in Gerusalemme, meravigliosa città dove convivono sotto lo stesso cielo le tre grandi fedi monoteiste ciò che manca, in questo suo presente gravido di tensioni, è proprio la normalità.
La straordinarietà dell’evento, in tutta la sua tragicità, riflette un atmosfera che divora la bellezza di questa terra così unica; ci restituisce, fissandolo simbolicamente nell’incomprensibile gesto di un semplice poliziotto, degli uomini tristemente ammalati di paura. E la paura frantuma, si sa, il sereno fluire dell’esistenza. Non è per niente casuale che tutto questo si sia compiuto di fronte ad un monumento della resistenza; davanti quel muro immobile che favorisce ogni giorno l’incontro intimo con Dio, che ospita tra le sue splendide fessure biglietti contenenti innumerevoli richieste. È accaduto perché l’uomo
trovi il coraggio di ritornare ad abitare quell’attimo di silenzio dove Dio si rifugia,con dolore, ogni volta che una vita si interrompe brutalmente; non per cercare altrove i responsabili, ma per sentirsi più responsabile verso tutto ciò che gravita intorno a sé.