Trivelle zero, i motivi della protesta

Il 28 novembre prossimo si svolgerà ad Ancona la manifestazione regionale indetta dai comitati Trivelle Zero delle Marche. Con questa  manifestazione – una delle tante che si svolgono da diversi mesi – i comitati organizzatori vogliono ribadire la loro contrarietà a un enorme progetto che prevede l’installazione di moltissime trivelle per l’estrazione di petrolio e gas Metano su buona parte del territorio adriatico. Il progetto infatti interessa quasi tutte le regioni della costa adriatica del nostro Paese, dalle Marche alla Puglia, sia in mare che nell’entroterra. Si tratta della costruzione di nuovi pozzi per l’estrazione di combustibile fossile e dell’ampliamento della rete nazionale gasdotti.

Il progetto vide la luce già sotto il governo Monti ma prende concretamente forma con lo Sblocca Italia di Renzi. Con questo si è dato il via libera alle compagnie petrolifere per l’installazione delle nuove trivelle e per la creazione di siti di stoccaggio e l’apertura degli appalti per i nuovi gasdotti. Dalle ultime stime, il territorio interessato è enorme.Adriatico

In mare copre un’area che va da Cattolica/Pesaro fino ad Otranto, mentre il progetto della rete di gasdotti attraverserà per intero la dorsale appenninica, dall’Emilia fino alle coste ioniche. In particolare nelle Marche sono in progetto due siti di stoccaggio: uno a San Benedetto del Tronto per l’immagazzinamento del gas e uno in mare, al largo di Senigallia per lo stoccaggio di CO2. In particolare il primo caso ha suscitato molte polemiche data la grande densità del territorio e della sua attrattiva turistica. E’ stato già presentato un ricorso al TAR contro un’opera classificata “A rischio di incidente rilevante” per la sismicità della zona. Ad oggi i progetti già concessi coprirebbero circa il 25% del territorio abruzzese e circa il 20% di quello marchigiano, senza contare i quasi 800.000 ettari di mare interessato tra le due regioni.

NoOmbrina

Ciò che viene contestato dai movimenti Trivelle Zero e NoOmbrina, oltre al palese danno ambientale inferto ad un territorio che potrebbe vivere solo delle sue bellezze naturali, è la pericolosità del progetto e l’ambiguità economica che lo circonda. Per stessa ammissione dei progettisti, tutto il sistema di nuove trivelle e gasdotti servirebbe a fare dell’Italia un hub del gas e del petrolio per servire i mercati del nord Europa, con ben poco ricavo per le Regioni e per i comuni interessati. Il nostro regime delle royalties è molto favorevole per le compagnie straniere rispetto a quello di altri Paesi. Chi estrae petrolio o gas con le trivelle deve allo Stato tra il 10% e il 7% del valore del prodotto estratto (Metano o petrolio): tutte le materie prime sono infatti proprietà dello Stato a cui appartiene il territorio da cui sono estratte. Quello che però attrae le compagnie nel nostro paese sono le franchigie. Sotto una certa soglia annua di materiale estratto non è infatti prevista alcuna royalty. Ai produttori basta rimanere sotto queste soglie per non dover pagare niente: in sostanza regaliamo le nostre materie prime che poi ci vengono rivendute e a prezzo di mercato sotto forma di prodotto raffinato. Tutto questo al costo della conservazione del nostro territorio, della sicurezza di chi lo abita e della salute delle generazioni future.