L’Argentina va a destra e rischia di portarsi dietro il continente
Che ce lo si aspettasse oppure no, il risultato del ballottaggio di domenica 25 novembre in Argentina tra il progressista Daniel Scioli e il conservatore Mauricio Macri sorprende tutti segna un risultato storico per il Paese dal ritorno alla democrazia: per la prima volta vince un candidato né radicale né peronista.
Vince per la prima volta e in modo disambiguo il neoliberismo, con Mauricio Macri, candidato della Coalizione conservatrice Cambiemos che si è imposta sul Frente para la Victoria kirchnerista e sul suo candidato, a dire il vero molto debole, Daniel Scioli con il 51,40% dei voti.
Forse si stenta ancora a crederlo, e già molte sono le recriminazioni mosse verso il Frente per un arretramento così evidente nei confronti delle destre e la pessima gestione della campagna elettorale, tuttavia i segnali erano già stati fin troppo chiari al primo turno, quando i due candidati sono usciti sostanzialmente alla pari dalle urne.
Macri è indubitabilmente il candidato della destra, il conservatore, l’uomo che, insieme al suo entourage, ha già promesso lacrime e sangue su temi quali aborto, legalizzazione della marijuana e tutele sociali; l’uomo subito applaudito dai bastioni del neoliberismo in America Latina (i presidenti di Colombia e Paraguay) e dalla destra più pericolosa in assoluto per il socialismo bolivariano e solidale latinoamericano: quella venezuelana.
Il peso di questa vittoria, o, guardando da sinistra, di questa pesante sconfitta, lo si pagherà tanto sul fronte interno, quanto e soprattutto su quello internazionale e inter-regionale. Il cappio intorno al Venezuela, e in parte alla Bolivia, si fa sempre più stretto; perdere se non un alleato fidato, ma quanto meno affidabile, in forza di un oppositore accanito è un ennesimo colpo per il presidente Maduro, già in difficile equilibrio al Mercosur*, vessato dagli Stati Uniti e indebolito dalle ambiguità tanto degli altri paesi progressisti del Sud America quanto di Cuba.
Sul piano interno le attese non sono migliori. Lo ha dichiarato limpidamente l’analista politico argentino Carlos Aznarez, intervistato da Il Manifesto, evidenziando come ‹‹nonostante la retorica e le false rassicurazioni, i primi a doversi pentire saranno quei settori popolari e marginali che hanno votato a destra: perché ci aspetta un ritorno alle politiche devastatrici degli anni ’90 da cui pensavamo di esserci liberati››. Per chi lo avesse dimenticato gli anni Novanta e Duemila sono gli anni dell’iperinflazione, delle privatizzazioni, dello smantellamento delle tutele sociali, della disoccupazione alle stelle, della recessione, del debito, della corruzione e dei default – rotta invertita solo a partire dalla vittoria di Nestor Kirchner alle elezioni del 2003.
In un simile contesto tuttavia, e anche in questo Aznarez è stato drammaticamente chiaro, Scioli non era affatto il candidato in grado di tenere testa alle destre e rinnovare il cammino progressista e solidale. Aperto al centro, e in parte pure a destra, possibilista nei confronti degli Stati Uniti e del libero mercato, scettico sui rapporti sud-sud in America Latina e soprattutto legato quanto Macri a Carlos Menem (presidente dal 1989 al 1999). Nella provincia di Buenos Aires, dove è stato governatore, le politiche di Scioli hanno provocato forti proteste di alcuni settori sociali, tendenzialmente represse con il pugno duro. La tutela dell’ordine pubblico inoltre è stata uno dei temi caratterizzanti della sua campagna elettorale, più vicina in questo a quella di Macri e Massa (anch’egli di destra) che a un ideale di sinistra che cerca la soluzione ai problemi sociali non attraverso la polizia ma la giustizia sociale e il lavoro per garantire un’esistenza dignitosa a chi ne è escluso.
La scelte di Macri dimostreranno presto le conseguenze del ritorno al neoliberismo, e la sinistra argentina adesso ha un imperativo ben preciso: resistere, resistere e riguadagnare terreno sociale. In questo, come all’interno del Mercosur dove deve cercare di pesare assolutamente, ha una grande responsabilità: dare sostegno al Venezuela e impedire che l’Argentina torni ad essere una pedina fedele di Washington e lo zerbino dove i grandi del libero mercato potranno tornare a pulirsi le scarpe lasciando solo il fango.
@aurelio_lentini on twitter
*Gli equilibri nel Mercosur (considerate le pressioni USA ed internazionali in materia economica) sono molto delicati:
Stati Membri a pieno titolo
Argentina: destra
Brasile: sinistra ma pressato da destra
Uruguay: il Paese è a sinistra ma nel consesso internazionale è piuttosto ambiguo
Paraguay: destra
Venezuela: sinistra
Stati Membri associati:
Bolivia: sinistra
Cile: il Paese è a sinistra ma nel consesso internazionale è piuttosto ambiguo
Colombia: destra
Ecuador: sinistra
Perù: sinistra