Il giardino dei ciliegi, Cechov secondo De Fusco
Arriva anche a Roma Il giardino dei ciliegi, il testo di Cechov con la regia di Luca De Fusco che ha debuttato al Napoli Teatro Festival nel Giugno del 2014 e ha affrontato un lungo tour italiano e internazionale, finendo per toccare anche il Teatro Aleksandrinskij di San Pietroburgo.
Partendo da Cechov, Luca De Fusco afferma di “aver cercato di valorizzare entrambi gli aspetti del testo [quello naturalista e quello simbolista] lavorando su un’interpretazione accurata dei vari caratteri, delle situazione emozionali e psicologiche che il grande scrittore crea e, insieme, scavando gli aspetti simbolici.”
Uno spettacolo che per molti versi ricorda lo spiegamento di forze e gli intenti di un altro lavoro dello stesso regista, “Antonio e Cleopatra”, che andò in scena al Teatro Eliseo di Roma qualche anno fa. Stesse luci ghiacciate, la stessa Gaia Aprea a fare da protagonista, stessi video (nella messa in scena di Cechov sono molto marginalizzati) che inquadrano i dettagli del viso degli attori, quasi divi di un’Hollywood del passato, stessa scenografia importante. Talmente importante da essere quasi troppo, allora come oggi.
Come suggerisce lo scenografo Maurizio Balò, il grande muro bianco che circonda la scena, con l’imponente scala centrale e gli oggetti che scendono dall’alto, ricorda una villa di campagna in un paese Mediterraneo, una masseria. Eppure qui a prevalere sono solo i toni algidi del perimetro decadente che simboleggia il giardino, uniti ai costumi bianchi ed eleganti di Maurizio Millenotti. Questa situazione scenica, che contribuisce invero a creare una resa estetica non trascurabile, diventa anche gabbia per gli attori. Un gioco per così dire, pericoloso, in parte voluto dalla regia che ha inserito anche una “quarta parete” fra la scena e il pubblico, finendo per intrappolarci le interpretazioni e con esse il versante emotivo dell’opera.
Davvero incantevole il finale. Mentre i personaggi si avviano sulla grande scala, che finora hanno percorso solo stentatamente, cadendo e ricadendo più volte, si delinea il superamento del confine con il passato ormai in rovina. E quando invece arriva il salto, leggero e inaspettato, oltre il limite, sembra di sentir risuonare non tanto il rumore dei ciliegi abbattuti quanto un verso di Piscik che recita: “Un grande filosofo consiglia di buttarsi dal tetto…”Salta!” dice, e tutto è risolto.”