Parigi, il razzismo e la Fallaci non sono la risposta

L’attentato di Parigi ci ha colto impreparati. Nonostante la strage a Charlie Hebdo, nonostante il lavoro d’intelligence, non eravamo pronti. Non solo a livello difensivo. Non eravamo pronti a immaginare che la guerra potesse arrivare così vicino. La immaginiamo lontana, confinata in regioni che, per un motivo o per un altro, pensiamo inevitabilmente condannate alla barbarie. Non eravamo pronti a credere che nella città dell’amore si potesse entrare in un locale per un concerto o in un ristorante per la cenetta del venerdì sera e trasformarsi in ostaggi, in vittime. Non eravamo pronti, ma quando la notizia delle sparatorie ha iniziato a diffondersi, invece che cercare di riflettere, capire, analizzare, la reazione più comune è stata quella di correre sui social (i più noti in tv o sulle prime pagine dei giornali) a dispensare sentenze. Sentenze che, in troppi casi, non sono state altro che rabbiosi rigurgiti razzisti.

 

Le ultime tragedie, dalla sparatoria nella redazione parigina al disastro aereo del volo Germanwings, avevano già mostrato di essere terreno fertile per gli sciacalli della politica e per i populisti da tastiera, ma la strage di Parigi rivendicata dall’Is, la sua insensatezza e la sua violenza hanno scatenato un’ondata di reazioni immediata e fortissima. Reazioni che non si sono limitate al cordoglio, al dolore, alla vicinanza.

  • parigiIl Bataclan era ancora in mano ai terroristi ma già su Twitter e Facebook si scatenava la campagna non contro Daesh, ma contro «l’Islam» (che qualcuno ha addirittura chiesto di bombardare. Sì, bombardare l’Islam, non scherzo) e contro i musulmani, nessuno escluso. Mentre anche il Front National sospendeva la campagna elettorale, Salvini, sempre sul pezzo, ha chiesto «controlli a tappeto di tutte le realtà islamiche presenti in Italia » e la chiusura delle frontiere, e pazienza se i terroristi responsabili degli attacchi sono francesi e belgi. A giudicare dai commenti, però, sembra che siano in molti a condividere la sua visione e a ritenere che basti essere musulmani per poter essere potenzialmente sospettabili o colpevoli. Un pensiero che nella maggioranza dei casi si è tradotto in un mea culpa collettivo indirizzato alla scomparsa Fallaci: «Oriana, scusaci, avevi ragione tu» è risuonato in ogni parte del web. In breve tempo citazioni da La Rabbia e l’Orgoglio sono fiorite in migliaia di bacheche Facebook e in innumerevoli cinguettii. Del resto, Salvini l’aveva già detto in gennaio dopo la strage di Charlie Hebdo: aveva ragione la Fallaci. Ma ragione su cosa? Sul fatto che se l’Occidente non fosse intervenuto i musulmani – ontologicamente inferiori e nemici – ci avrebbero portato la guerra in casa. Una profezia azzeccatissima secondo la vulgata che circola in queste ore. Peccato che, nei quattordici anni successivi alla pubblicazione del Fallaci-pensiero, l’Occidente non sia rimasto inerme a guardare questi barbari attaccare la nostra civiltà ma sia intervenuto – qualcuno ricorda le guerre in Afghanistan e Iraq? Poco importa. A chi non ha mai letto una riga scritta da Oriana Fallaci basta qualche citazione ad hoc estrapolata da un testo livoroso e a tratti delirante per indicare i colpevoli: i musulmani. Non lo Stato Islamico, i musulmani. Che, quindi, devono essere cacciati fuori, tutti. Ma l’Isis non è l’Islam. Con buona pace di chi pensa che dietro ogni musulmano si nasconda un terrorista. La brillante tesi «non tutti i musulmani sono terroristi ma tutti i terroristi sono musulmani», che sembra andare per la maggiore, esclude una – ampia – parte di realtà; in Italia, per dire, abbiamo una lunga storia di terrorismi, ma nessuno di loro era un seguace di Maometto. E che dire di Breivik in Norvegia, solo per citare un caso recente e conosciuto?

 

Basta dare un’occhiata ai titoli dei giornali in edicola la mattina dopo gli attentati per rendersi conto di quanto questo fondamentale distinguo sia mancato e quanto si rischi di alimentare l’islamofobia. Mentre i giornali parigini titolavano «La guerre en plain Paris» (Le Figaro), «L’horreur» (Equipe), «Carnage à Paris» (Libération), «Massacre terroriste à Paris» (Aujourd’hui) i giornali di casa nostra si riempivano dei «Bastardi islamici» di Libero, dell’«Orrore islamico» de Il Giornale e del «Massacro islamico» del Messaggero.

 

Si chiede ai musulmani, nessuno escluso, di dissociarsi dagli attentati. E loro si sentono in dovere di farlo. Come se, per il solo fatto di professare l’Islam fossero in qualche modo corresponsabili. Ci si attacca a episodi condannabili – come i fischi e le incitazioni ad Allah durante il minuto di silenzio di Turchia-Grecia – per dimostrare che «l’Islam moderato non esiste» e «tutti i musulmani sono dei criminali» da eliminare. Così, all’odio di un attacco terroristico si risponde con l’odio di chi incita a bruciare le moschee (e di chi lo fa davvero, come in Canada), di chi attacca cittadini innocenti che hanno come unica colpa quella di essere musulmani. Di essere, in fondo, stranieri, diversi.

 

Antoine Leiris è il marito di una delle vittime del Bataclan. «Non avrete il mio odio», ha detto rivolto agli attentatori che gli hanno portato via «l’amore della mia vita» lasciandolo solo con il figlio di 17 mesi. «Per tutta la sua vita vi farà l’affronto di essere felice e libero. Perché no, non avrete neanche il suo odio». Facciamolo anche noi. Non diamogli nemmeno il nostro, di odio.