Datagate: Il Grande Fratello Americano

 Non possono lasciare indifferenti le nostre coscienze le parole che il giovane e coraggioso Edward Snowden ha espresso nell’intervista rilasciata al quotidiano britannico The Guardian; parole che si scagliano contro la “pericolosa autolegittimazione del governo americano” che in nome di una ormai pretestuosa sicurezza si arroga il diritto, attraverso una gigantesca rete di sorveglianza dei cittadini americani da parte dell’Agenzia di Sicurezza Nazionale, di raccogliere non in zone coinvolte in conflitti militari ma in patria, milioni di dati sensibili.

 “Non sta a noi decidere se queste politiche sono giuste o sbagliate” prosegue senza alcuna esitazione Snowden, ma all’opinione pubblica che ormai purtroppo sembra essere diventata in occidente un soggetto precipitato in un’ irreversibile latitanza. Nella prima pagina di Repubblica di oggi gli fa eco l’inquietante titolo di Barbara Spinelli: “La paura del popolo”; giá perché la paura dei governanti non sembra più essere rivolta ad eventuali minacce esterne, terroristiche o sedicenti tali, ma ad un “popolo smoderato e incolto”, esigente e capriccioso e per questo degno di una attenta e costante vigilanza che immancabilmente però finisce per favorire “i soprusi delle cerchie dominanti”. Questo dunque il nuovo mondo che ridisegna il Datagate, rimodellato con iniziative costituzionali, che vanno sotto il nome di Patrioct Act e, oggi Prism, e che come argutamente sotiene Stefano Rodota non comprende piu la “folla solitaria delle metropoli, dove la persona poteva scomparire, ma persone nude, spogliate d’intimita e di diritti”.  

Non ci è dato sapere quali siano le profonde motivazioni che hanno portato il 29enne tecnico informatico a rivelare al mondo queste scottanti informazioni e a lasciare un incarico prestigioso e un’invidiabile abitazione alle Hawaii; ingenuo idealismo, un recondito desiderio di ritagliarsi un’eminente posto nella Storia o uno straordinaria filantropia? Adesso avranno luogo le più disparate considerazioni e forse ancora una volta perderemo l’occasione di riconoscere la necessità di certi gesti, volti a limitare come la definisce Daniell Ellsberg “questa invasione su larga scala della privacy dei cittadini americani e stranieri” che “non contribuisce alla nostra sicurezza, ma mette a rischio le stesse libertà che desideriamo tutelare”.

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *