Attori, attrici, agenti, assistenti, giornalisti. Il mondo del cinema può diventare velocemente un campo minato per trame e intrighi relazionali, questa volta dalla prospettiva degli “operatori”. Lo dimostra 10% Call My Agent, serie francese presentata quest’anno fuori concorso al RomaFictionFest.

Quali i temi trattati nei sei episodi? Prima di tutto c’è la descrizione di un ambiente di lavoro ai limiti del reale, che si divide tra bugie, affarismi, colpi di stato e prevaricazioni. In questo tessuto si innestano gli ambiti personali, la vita di quattro agenti di star del cinema dell’agenzia più famosa di Francia.

La serie è ambientata a Parigi, dove si consumano le vite frenetiche e nevrotiche di Mathias, Andrea, Gabriel e Arlette e dove si fa luce sul back office delle celebrità: quel lento lavoro di pubbliche relazioni e manovre strategiche che porta gli attori ad esibirsi nei ruoli in cui li vediamo risplendere. Un ambiente un po’ ristretto? Forse, abbastanza perlomeno per non vedere margini di immedesimazione se non ci fossero richiami anche velati a film come Il diavolo veste Prada, in cui il mondo del lavoro viene dipinto come una giungla urbana dove sopravvive solo il più scaltro. In questo modo la piccola assistente Camille diventa una qualsiasi stagista ventenne a cui venga chiesto l’impossibile pur di tenersi stretto il posto di lavoro.

call my agentNei limiti dello sviluppo della storia, qui ancora al suo esordio, colpisce certamente la prestazione degli attori, che seguono con ritmo e carattere i complessi svolgimenti della propria carriera, sapendo aprire uno spiraglio di caratterizzazione senza diventare per questo macchiette. Accanto agli agenti, anche una vera star, Cécile de France, una gloria belga e francese che ha recitato anche in film internazionali. Lo sviluppo della sua piccola battaglia a favore della naturalezza e contro la chirurgia estetica viene trattata con il garbo e l’ironia che solo l’umorismo francese sa offrire.