Datagate, Snowden in fuga: «Non sono né un traditore né un eroe»

Edward Snowden ha confessato di essere la fonte delle rivelazioni sul programma d’intelligence statunitense (PRISM) che hanno fatto tremare la public diplomacy nazionale. Dopo essere stato impiegato come assistente tecnico nella CIA ed aver collaborato con la NSA (National Security Agency), Snowden ha svelato le modalità di acquisizione d’informazioni del sistema che mostrano la capacità di intercettare completamente le informazioni digitali immesse dagli utenti in rete.

LA FUGA – Sarebbero state 61mila le operazioni di spionaggio della NSA e molte di queste focalizzate sugli affari interni cinesi. Lo scandalo ha creato una caccia all’uomo, tanto che dallo scorso maggio Snowden è fuggito ed è nascosto a Hong Kong, in fuga dal governo americano. E ha deciso di rilasciare finalmente un’intervista. È il South China Morning Post a riportare le prime battute dell’ex informatico: «Non sono né un traditore né un eroe – ha dichiarato – sono un americano. Credo nella libertà di espressione, ho agito in buona fede, ma è semplicemente giusto che il pubblico si faccia la propria opinione». Il programma di sorveglianza sarebbe arrivato a controllare le comunicazioni istituzionali di Hong Kong e quelle dei privati cittadini cinesi, per infrangere la protezione governativa che il Paese ospitante ha attuato nei confronti di Snowden. Ma non solo: sarebbe forte, secondo le parole del ventinovenne, la pressione diplomatica statunitense volta a ottenere la sua estradizione.

LE MOTIVAZIONI DI SNOWDEN – «L’ipocrisia del governo americano è quando afferma che non prende di mira infrastrutture civili, a differenza di quanto fanno i suoi nemici. Non solo lo fa, ma teme così tanto che si sappia che ha intenzione di usare ogni mezzo, anche l’intimidazione per vie diplomatiche, per evitare che queste informazioni siano rese pubbliche». E l’informatico sottolinea così le radici del suo gesto: «La verità è che io ho agito assumendomi un grande rischio personale per aiutare la popolazione mondiale, senza pensare se fosse americana, europea o asiatica».

LA PAURA PER LA FAMIGLIA – Nella toccante intervista sono forti i richiami alla precarietà della sua condizione, relativa a un governo che, secondo le parole dell’informatico, sarebbe disposto a tutto. «Non mi sentirò mai al sicuro. Da ogni punto di vista, la situazione è molto difficile per me, ma dire la verità in faccia al potere non è mai senza rischi. È stato difficile, ma sono felice nel vedere l’opinione pubblica mondiale rivoltarsi contro queste sistematiche violazioni della privacy. Tutto ciò che posso fare adesso è fare affidamento sulla mia preparazione e sperare che i governi nel mondo si rifiutino di farsi intimidire dagli Stati Uniti nella sua persecuzione di persone alla ricerca di asilo politico».

E, come fu per Assange, gli attivisti sono scesi in sua difesa con una petizione che richiede al governo cinese il massimo della protezione per l’uomo che, a torto o a ragione, è considerato da molti un eroe dei giorni nostri.

di Alessandra Corsini

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