Lea: dopo sei anni il suo “No” scuote ancora le coscienze

Se l’anno scorso la RAI si era presentata al RomaFictionFest con una semi grottesca versione del delitto Ambrosoli, quest’anno si rifà con gli interessi proponendo, ieri sera alla platea dell’ Auditorium della Conciliazione e il 18 novembre al pubblico televisivo, la trasposizione cinematografica della storia di Lea Garofalo.

Per chi non conoscesse la vita di questa donna “all’offensiva, più forte del suo stesso destino”, raccontata in poco più di un’ora e mezza da Marco Tullio Giordana, “Lea” è la vicenda di una ragazza calabrese che si ribellerò alla logica dei clan arrivando a denunciare il padre di sua figlia, una ribellione che la portò prima a vivere sotto protezione delle forze dell’ordine per poi finire abbandonata da quest’ultime e “giustiziata” per le sue “colpe” dalla cosca. Il regista anche questa volta non ci lascia indifferenti, i suoi film non svaniscono il giorno dopo dalle menti degli spettatori, scossi, turbati e responsabilizzati. Fiction e film “sociali” che però non si limitano ad osservare il fenomeno dal punto di vista meramente collettivo ma che indagano e mostrano l’animo del singolo. Storie vere che per essere raccontate hanno bisogno di uno stile più che realistico che non cede però alla tentazione “documentarista” evitando di utilizzare, se non soltanto nella scena finale, scene estratte dalla cronaca come gli ultimi fotogrammi della donna carpiti da telecamere di sorveglianza o immagini di repertorio del processo ai suoi carnefici.

Meravigliose e intense le interpretazioni di Vanessa Scalera (Lea) e Linda Caridi (Denise) che per tutta la durata del film restano ferme e solide nonostante clan e giustizia le costringano a continui sballottamenti fisici e morali. Come ne “I cento passi” o “Romanzo di una strage” anche in “Lea” il protagonista, questa volta femminile, si trova schiacciato da una realtà circostante che non intende essere modificata e reagisce con ferocia ai tentativi di destabilizzazione dei suoi punti cardine e, vuoi che sia una criminalità radicata o uno Stato lassista al punto tale da divenire “antistato”, colui che si oppone alla ricerca di libertà o verità si immola per scuotere le nostre coscienze.

L’opera, fuori concorso, narra in maniera cruda e semplice la lotta per la libertà di una donna, una libertà per se stessa e soprattutto per sua figlia e di quest’ultima che seguirà l’esempio della madre e si ribellerà non solo ad un metodo criminale ma ad una forma mentis limitata e limitante, di costernata e avvilente accettazione dello status quo, un sentimento incarnato a meraviglia dal personaggio della madre della Garofalo che continuerà a piangere dentro e non urlare il suo dolore nonostante ad uno ad uno veda cadere i membri della sua famiglia sotto i colpi dei clan. Lea e Denise no, non appartengono al passato del sud italia e forse neanche al presente, appartengono al futuro che, sotto la spinta di esempi forti appoggiati finalmente un giorno da uno stato non compiancente dei poteri forti e da una società civile pronta a dare battaglia possa far uscire dalla desolazione umana le parti più nascoste del nostro paese.