Aborto, Premier irlandese sommerso da tweet sul ciclo
Caro Primo Ministro, ti arroghi il diritto di decidere cosa posso o non posso fare con il mio apparato riproduttivo? Allora devi conoscerlo bene. Anzi, più che bene, devi conoscerne ogni dettaglio. Ecco, in sintesi, il messaggio dietro al tweet bombing che dall’inizio di novembre ha colpito il Premier irlandese Enda Kenny, contestato per la sua posizione estremamente conservatrice sull’aborto.
Nella cattolicissima Irlanda – che dopo la vittoria del referendum per il matrimonio egualitario è stata osannata come eccellenza dei diritti in Europa – l’aborto è ancora illegale e la pena, sia per la donna che lo cerca che per chi la aiuta, può arrivare fino a 14 anni di carcere. E anche se la legislazione è stata – leggermente – ammorbidita due anni fa, permettendo l’aborto terapeutico nei casi in cui sia a rischio la vita della madre, la discrezionalità sul concetto di “rischio” continua a farla da padrone.
Di indire un referendum – l’unica strada per legalizzare l’IVG – non se ne parla, almeno per Fine Gael, il partito conservatore che governa il Paese: «Non favoriamo l’aborto su richiesta e non abbiamo nessuna intenzione di abolirlo senza sapere con cosa potrebbe essere sostituito». I laburisti hanno promesso che inseriranno il referendum nel programma di governo ma in attesa delle prossime elezioni le donne irlandesi hanno deciso di far sentire la loro voce, chiedendo di abrogare l’8° emendamento della Costituzione irlandese che equiparando la vita del feto a quella della madre impedisce, di fatto, l’aborto. Come? Sommergendo il Primo Ministro di tweet sul proprio ciclo mestruale.
A lanciare l’idea – e il primo tweet – è stata l’attrice Grainne Maguire: «Donne d’Irlanda, la vostra vagina è un business che riguarda il primo ministro, twittategli tutto sul vostro ciclo mestruale». In poche ore migliaia di donne hanno risposto all’appello, l’hashtag #repealthe8 (“abroga l’8”) ha continuato a crescere e sembra non volersi fermare. E tra i tweet ironici, quelli biologicamente dettagliati e la rabbia, ci sono anche le storie di chi, per colpa di una delle legislazioni più restrittive al mondo in fatto di aborto, è stata costretta a prendere un aereo e interrompere la gravidanza lontano dal suolo patrio. «Ogni giorno, almeno 10 donne e ragazze viaggiano dall’Irlanda in Inghilterra per un aborto. Circa 4.000 viaggiano verso la Gran Bretagna o altrove in Europa ogni anno», secondo Amnesty International. Altre mille arrivano dall’Irlanda del Nord che, nonostante appartenga formalmente al Regno Unito, ha una politica estremamente restrittiva sull’aborto. «Coloro che si mettono in viaggio affrontano il trauma, lo stigma, l’umiliazione e un’esperienza fisica estenuante. Molte donne soffrono molto quando sono in viaggio. Pagano più del dovuto per servizi sanitari che dovrebbero essere prontamente disponibili per loro». Spesso, non hanno nessuno che possa supportarle in un momento così difficile: «È più economico viaggiare da soli», spiega ancora Amnesty.
Non tutte, però, possono partire: «Molte altre donne e ragazze non sono in grado di viaggiare – è semplicemente troppo costoso per molte donne; altri non possono viaggiare perché sono rifugiati o richiedenti asilo; il brutale pedaggio fisico e mentale del viaggio dissuade altri dall’imbarcarsi in esso». Per chi resta in patria e desidera abortire, non c’è soluzione, «diventano disperate. Alcune pensano che il suicidio o forme di aborto auto-somministrato potenzialmente pericolose per la loro vita siano la loro unica possibilità». Per questo, Abortion Support Network fornisce assistenza finanziaria e alloggio in Inghilterra per chi – il genere non è un requisito ai fini dell’ammissione, specificano – decide di intraprendere il viaggio per abortire ma non può permetterselo o ha bisogno di assistenza, spiegando a chi cerca aiuto anche come «nascondere le tracce».