TTIP: il cittadino europeo e la camera dei segreti

Lo scorso 6 novembre la Commissione Europea per il commercio ha pubblicato il rapporto sull’undicesimo incontro tra rappresentanti UE ed USA, finalizzato alla prosecuzione delle trattative riguardanti il TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership).
Da sempre contraddistinta per la sua maniacale cura del principio di trasparenza, l’UE ha puntualizzato nella nota introduttiva al testo come in quest’ultimo siano riscontrabili dettagliate informazioni sui discorsi portati avanti dalle parti utili al costante aggiornamento di qualsiasi cittadino interessato . Non a caso ciò che si legge in qualunque libro di diritto amministrativo è che dalla trasparenza nasce la pubblicità degli atti, unica vera matrice della partecipazione del pubblico ai procedimenti decisionali amministrativi. Tutto sembrerebbe scorrere perfettamente se non fosse che una volta aperto quel file pdf in allegato qualche interrogativo è lecito che sorga. Ventidue pagine, vari temi toccati quali dazi doganali, appalti pubblici, marchi commerciali, indicazione sulla provenienza geografica dei prodotti, ma è soprattutto una l’evidenza che salta all’occhio del lettore: la vacuità degli accordi effettivamente raggiunti. Il testo è infatti farcito di locuzioni quali “le parti hanno discusso” ; “le parti non hanno raggiunto un’intesa” ; “le parti porteranno avanti i loro discorsi in tema”. Di una fotografia, raffigurante chi veramente sia il trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti allo stato attuale dei lavori, non c’è però alcuna traccia.
Da giorni i maggiori esponenti del mainstream dell’informazione tentano di tranquillizzarci in merito ai presunti effetti distruttivi di questo trattato. E probabilmente a ragione. Non di poco conto è infatti l’argomentazione che essi offrono richiamante la necessità, ai fini dell’entrata in vigore del TTIP, del voto favorevole di Commissione e Parlamento europeo, ma soprattutto dell’unanimità di consensi da parte dei 28 stati membri dell’Unione. Sarebbe infatti sufficiente il parere negativo di un singolo stato del vecchio continente per mandare in fumo l’accordo. Come contrappeso della bilancia pende però la seconda testa della creatura simil-cerbero a cui gli Stati Uniti d’America stanno dando vita: il TTP. È questo un altro trattato internazionale, (il cui testo integrale è stato reso noto al pubblico la scorsa settimana) redatto con i favori (e non) dei paesi del Pacifico, (nota l’ostilità del Canada) in cui tra i molti passaggi opinabili spicca il Mostro per eccellenza: la clausola ISDS (Investor-state dispute settlment). Clausola che permetterebbe alle grandi corporations americane di far causa agli Stati qualora questi emanassero normative confliggenti con gli interessi economici delle stesse lobbies. E a pagare dazio come sempre sarebbero i contribuenti. È lecito dunque affidarsi ciecamente alla “transparency” dell’UE mentre soltanto un oceano più in là avviene tutto questo?
A rafforzare i sospetti in merito ci pensano le dichiarazioni rilasciate da Cecilia Malmstroem a John Hilary, esponente di “war on want”, sulle pagine de The Independent. La Malmstroem, presidente UE della Commissione Commercio e prima esponente europea nei negoziati sul TTIP, avrebbe infatti dichiarato, incalzata dalle perplessità del giornalista riguardo l’assoluta necessità di pervenire ad un accordo, di “non avere ottenuto il proprio mandato dai cittadini europei“. E da chi allora, data la nomina ricevuta dai membri delle commissioni su proposta del consiglio (ovvero i presidenti dell’esecutivo dei 28 stati membri) sulla carta rappresentanti del popolo? La domanda è lecita.

Malmstoerm
Cecilia Malmstoerm, presidente della commissione commercio.

E noi? Fermi a guardare? Apparentemente sì, dato che il referendum lanciato dallo stesso Hilary, nonostante i 3 milioni e 750mila dissensi espressi in opposizione al TTIP, ha sortito soltanto le secche dichiarazioni della Malmstroem. Resta allora da chiedersi come si stiano muovendo i nostri eurodeputati in merito. Dalle parole di Tiziana Begherin, esponente europea del Movimento 5 Stelle, si capisce come anche qui la coperta sia molto corta: “Noi dell’Europarlamento abbiamo soltanto la possibilità di monitorare i testi consolidati in una stanza blindata in Parlamento“. Vi sono addirittura fonti ritenenti che la visione dei testi possa avvenire solo in una fascia oraria strettissima, sotto stretta sorveglianza e senza l’ausilio di mezzi elettronici utili alla produzione di eventuali emendamenti al testo. Nessuno può nascondere l’elevata probabilità che in quest’ultimo caso si stia parlando di una fonte poco attendibile, ma come si può essere sicuri di ciò, quando le lobbies al giorno d’oggi si spingono fino al punto di invitare ad un “pranzo informale” i membri del Parlamento europeo per trattare temi quali le agevolazioni fiscali, anziché affrontare argomenti di questo peso politico in un dibattito pubblico e legittimo (e soprattutto portato avanti nei luoghi istituiti ad hoc)?
Tornando alla lettera del rapporto su citato, la presunta meticolosità delle istituzioni europee nel fornire dettagli al cittadino, vede tra i risultati del dibattito inerente all’accesso al mercato di beni non agricoli “una produttiva discussione su vari articoli del testo”.
Ancora, in merito all’individuazione dell’origine di prodotti industriali, le parti hanno raggiunto un accordo sulla condivisione di regole orizzontali e di principi, ma i procedimenti per determinare l’origine dei prodotti non hanno ancora visto la luce.
E il mercato automobilistico? Semplice, “la discussione ha avuto luogo su tutte le quattro sezioni dedicate al settore automobilistico. Mentre sui pesticidi il report fornisce informazioni ancor più scarne e prive di contenuti. Si potrebbe spingere l’analisi fino all’integralità delle ventidue pagine stilate, ma il risultato rimarrà sempre lo stesso: infinite constatazioni sull’eccellente andamento delle discussioni. Ma del loro contenuto neanche l’ombra.
TTIP

La domanda dunque potrebbe sorgere spontanea: perché Stati Uniti d’America e commissione (e chissà chi altro) stanno cercando in tutti i modi di chiudere un accordo entro il 2016? E soprattutto di tenere nascoste le vere fasi delle trattative in corso? La risposta potrebbe celarsi nelle future (e non troppo lontane) elezioni presidenziali francesi e tedesche (2017) e in quelle italiane (2018): il vento che spira sempre più insistentemente è quello di una cittadinanza europea stanca delle ultime politiche di Bruxelles. Ed è facilmente pronosticabile il fatto che saranno in molti a cavalcare l’onda del sentimento anti-europeo, nel tentativo di approdare al governo dei rispettivi paesi. Provate ad immaginare come l’attenzione mediatica, nell’imminenza di quelle date – a detta di molti destinate ad essere storiche per la vita dell’Unione – si catalizzerebbe sui lavori del TTIP. Attenzione che al momento è praticamente nulla. Dunque, guardando anche all’altra faccia della medaglia, – le elezioni presidenziali statunitensi dell’anno prossimo – è evidente come l’amministrazione Obama stia tentando in tutti i modi di ottenere un risultato entro l’anno venturo, terrorizzata dall’idea di uno stallo dovuto a contingenze politiche.
Al povero cittadino europeo, data l’aridità di informazioni trasparenti e la minor forza contrattuale di chi realmente dovrebbe rappresentarlo nelle istituzioni europee, – il Parlamento – per il momento può soltanto stare in attesa di qualche spiffero, qualora la porta della camera dei segreti – dove le parti affannosamente collaborano – dovesse rimanere socchiusa.